Una storia di froci

UNA STORIA DI FROCI
Guardo l’orologio.
Mentre inizio a scrivere queste righe segna le 22,11.
Esattamente a quest’ora, quarantacinque anni fa, la sera dell’1 novembre 1975, Pier Paolo Pasolini salutava Ninetto Davoli all’uscita del ristorante “Il Pommidoro”, a Roma, nel quartiere San Lorenzo, dove avevano appena finito di cenare.
Durante la cena avevano parlato a lungo di un film in preparazione, una storia epico-picaresca che lo stesso Davoli avrebbe dovuto interpretare in coppia con il grande Eduardo De Filippo.
Un film che non si girerà mai, perché dopo aver salutato l’amico e attore prediletto, Pier Paolo Pasolini andrà incontro alla morte.
Una morte che di normale non ha niente e che ancora oggi rappresenta un problema gigantesco. Per tutti.
Seguendo il più classico paradigma dei misteri italiani, anche il delitto Pasolini ha affastellato vicende giudiziarie ai limiti del ridicolo, zone d’ombra inquietanti su cui nessuno è mai voluto andare fino in fondo, quintali di mezze verità che hanno triplicato le bugie, depistaggi per creare scoop ad hoc da sbattere in prima pagina per generare confusione e ammantare tutta la vicenda di un fumo che ci ha storditi, ingarbugliati e scaraventati lontano anni luce dalla verità.
Sotto la mia scrivania, in un ripiano in legno che sfiora il pavimento e che prima o poi cederà per un peso che da anni sta sfidando le leggi della fisica, ci sono due grossi faldoni che recano la scritta “PPP”. Dentro, tutte le mie carte, i miei appunti. Il consuntivo di oltre vent’anni di studi su Pasolini. Più della metà del secondo faldone, raccoglie materiale sull’omicidio dell’Idroscalo.
Nonostante questo tempo sconsiderato dedicato alla materia, non credo di averci capito qualcosa su quella notte. Ho una mia idea, certo. Ma la confusione continua a essere scandalosamente in vantaggio sulle certezze.
Tra queste la convinzione che, in aggiunta al paradigma di cui sopra, la mancata verità sul delitto, le più folli e facili dietrologie complottiste, gli insabbiamenti scandalosi rovesciati ad arte, siano serviti anche (o soprattutto?) a lasciare Pasolini inchiodato lì, orrendamente sfigurato nel fango dell’Idroscalo.
In altre parole, che il continuo (e fatuo e superficiale e inconsistente, se non morboso) parlare di Pasolini in virtù della tragedia della sua morte, sia stato (e continui ad essere) funzionale al NON parlare delle sue opere.
Cerco di spiegarmi meglio.
E’ come se tutto ciò che sia stato detto (e fatto) in relazione all’omicidio Pasolini, sia stato in qualche modo funzionale ad allontanarci dall’artista, dal poeta, dall’intellettuale.
Dalle ore immediatamente successive al delitto è stata diffusa con ogni mezzo di informazione possibile e in maniera martellante e incessante (primo caso di violazione del segreto istruttorio sotto forma di scoop televisivo) una versione dei fatti non solo quanto meno discutibile e decisamente improbabile, ma che poi le indagini successive hanno oggettivamente e oltre ogni ragionevole dubbio smontato pezzo per pezzo.
Una versione entrata così tanto nell’immaginario comune da essere ancora oggi ritenuta – nonostante si sia dimostrata totalmente menzognera – quella ufficiale. O meglio: non credo ci siano così tante persone che si ricordino la dinamica del delitto secondo la versione ufficiale, ma di sicuro tutti, compresi coloro che non si interessano minimamente a Pasolini, ritengono che l’omicidio dell’intellettuale abbia avuto un movente di natura sessuale.
Che sia, come ebbe a dire il capo della procura all’epoca, “una storia di froci”.
Anzi, che sia la storia di uno sporcaccione pedofilo e omosessuale cinquantenne che a bordo di un’Alfa GT va a rimorchiare un marchettaro minorenne e che poi, siccome lo sporcaccione cerca di andare oltre quanto pattuito, il marchettaro si ribella e compie un omicidio per difendere il proprio onore.
Un movente sessuale perfetto per creare quell’aura torbida e scandalosa, ideale per insabbiare la verità su quella notte.
Perfetto per discutere di tutto senza discutere di altro. Per parlare in eterno dell’adescatore di pischelli e dimenticare l’intellettuale, il poeta, il regista.
Una specie di damnatio memoriae che in un colpo solo ha negato la ricerca della verità sul delitto e la conoscenza dello scrittore.
La conclusione – e la vera tragedia – è che Pasolini non esiste.
Esiste il suo corpo straziato ma non esiste la sua opera, verso la quale vi è ancora un ostracismo incomprensibile (o fin troppo comprensibile, se preferite).
Quando affrontai il concorso per entrare in ruolo a scuola, nelle linee guida, tra gli autori del novecento di cui si raccomandava la conoscenza, Pasolini non c’era. C’erano – di secondo novecento – Calvino, Morante, Moravia, Sanguineti, Fenoglio, Caproni, Penna, Bertolucci… e tanti altri. Diciamo pure che c’erano tutti, tranne Pasolini.
Una coincidenza, una fatale dimenticanza?
Magari sì, anche se di “coincidenze” del genere, con protagonista Pasolini, potrei citarne parecchie.
Il fatto è che Pasolini continua a essere un problema, uno “scandalo ideologico”, oggi forse anche più di ieri.
Oggi che le sue lucide e sorprendenti “profezie” si sono puntualmente avverate, oggi che sono puntualmente esplose quelle contraddizioni che la sua “puerile voce” denunciava con quarant’anni di anticipo, oggi che siamo sepolti da quelle macerie morali e non che lui già allora vedeva pioverci addosso.
Oggi che affrontarlo significherebbe riconoscerne la profondità e la grandezza, soprattutto da sinistra, quella sinistra che, schiava della “fedeltà alla linea”, non ha mai tollerato la sua libertà di giudizio.
Per questo ancora oggi conviene trattare Pasolini con la più oscena delle superficialità.
Per questo ancora oggi conviene liquidarlo come il poeta “che sta coi poliziotti”, per via della lettura (volutamente) frettolosa e superficiale di due versi di una poesia che in pochi hanno letto per intero, che è tutto fuorché un elogio della polizia, che sbatte in faccia le contraddizioni più laceranti di noi “borghesi rivoluzionari”, troppo difficili da affrontare e troppo facili da ignorare.
Per questo ancora oggi conviene additarlo come il vergognoso pervertito.
Per questo ancora oggi conviene non sapere cosa accadde all’Idroscalo.
Per questo ancora oggi quell’ignobile massacro non è altro che una storia di froci.

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