C’era una volta Lady Oscar

LADY OSCAR, ovvero… “il buon padre voleva un maschietto/ ma, ahimè, sei nata tu/ nella culla ti ha messo un fioretto/ lady dal fiocco blu”.
Esatto, proprio così, AHIME’ diceva la sigla. Che almeno, a differenza di altri cartoni (vedi Georgie, Candy Candy… ) non ti prendeva per il culo facendoti credere che alla canzoncina spensierata seguisse una favoletta per bambini mocciosi e sognatori. No, la sigla di “Lady Oscar”, te lo diceva chiaro e tondo: attenzione bambino, stai per vedere una storia piena di psicopatici sadici e perversi, criminali a piede libero e violenza a go go. Nonché intrisa, dalla prima all’ultima puntata, di un’ambiguità sessuale in cui tu, bimbo (specie per colpa di un doppiaggio italiano delinquenziale che renderà ancora più incomprensibile il tutto) non capirai un cazzo, semplicemente sarai turbato e nessuno saprà né vorrà spiegarti il perché. Il tutto, ovviamente, condito dalle solite quintalate di quella sfiga insostenibile che perseguita tutte le protagoniste degli anime giapponesi (specie se sono bionde) e tutti quelli che le circondano.
Comunque, dicevamo, Lady Oscar… nella seconda metà del XVIII secolo, nella Francia di Luigi XV, il generale François de Jarjayes oltre a essere ultrarealista, ultranazionalista e ultraassolutista, è un pericoloso malato di mente il cui unico scopo nella vita è che il figlio diventi il comandante delle Guardie Reali. Il problema è che la moglie (una specie di slot machine del parto, che nonostante generi alla velocità della luce e in quantità industriali, ha la pancia piatta come le dive di Hollywood alla sedicesima seduta chirurgica) gli sforna solo figlie femmine. E all’ennesima bambina partorita, il generale perde definitivamente il capo e decide che prima di tutto le darà un nome da maschio, Oscar (perché poi un ultranazionalista francese scelga un nome inglese è un mistero tuttora irrisolto), e per rincarare la dose come secondo nome le affibbierà direttamente il suo, François. Come se io avessi chiamato mia figlia Osvaldo Riccardo… il problema, capite, non è tanto che lo faccia, ma che glie lo lascino fare. Fatto questo, la crescerà come un maschio, educandola alla disciplina militare e all’arte del combattimento. Date le premesse, non si capisce perché la affidi a una governante alcolizzata (che tra uno shottino e un cicchetto fa di tutto per convincerla di essere donna) e suo nipote André, un plebeo belloccio sin da pischello innamorato della pulzella androgina e candidato numero uno al premio come più grande zerbino di tutta la Francia.
Come è come non è, nonostante sia lacerata dai dubbi, nonostante nonna beona e nipote innamorato cerchino in tutti i modi di farla femminizzare, Oscar dopo essere stata brutalmente schiaffeggiata dal padre psicopatico, decide di maschieggiare definitivamente. Ed entra nella Guardia Reale, con il compito specifico di proteggere l’incolumità della neoprincipessa e futura regina Maria Antonietta d’Austria. Il tutto a quattordici anni. Cioè, tecnicamente questa non sarebbe potuta andare al cinema a vedere Trainspotting, però aveva già cambiato sesso ed era la responsabile suprema della sicurezza dell’erede al trono del più importante stato europeo. Va be’…
Ad ogni modo, la storia all’inizio è semplicissima: la principessa Maria Antonietta (una bimbetta particolarmente rincoglionita e imbronciata perché il fidanzato non è il principe azzurro ma un cicciobomba imbranato e tracagnotto) saltella, il duca d’Orleans tenta di ammazzarla, Lady Oscar la salva ma non riesce a dimostrare la colpevolezza del duca e André, nelle retrovie, scodinzola.
Così a OGNI PUNTATA. A questo punto qualcuno deve aver fatto notare agli autori che la faccenda era un attimino (ma appena appena eh… ) ripetitiva (così come deve aver fatto notare che il duca d’Orleans era il personaggio più ingrugnito della storia degli anime, che ogni volta che la bimbetta rincoglionita scampava ai suoi attentati aveva una faccia più truce di Hannibal Lecter a colazione… era un filino strano che nessuno a corte facesse due più due… ).
Fatto sta che dopo una decina di puntate facili facili e in fotocopia, di colpo tutto si ribalta e la trama diventa una roba che Beautiful scansate.
Ovvero: Luigi XV muore di vaiolo e Maria Antonietta e il cicciobomba vengono incoronati nuovi reali di Francia, ma la regina il cicciobomba proprio non lo strozza e sfanculando la suprema ragion di stato continua a saltellare senza sognarsi minimamente di dargli un erede, e saltella di qua e saltella di là incontra un bonazzo svedese che le scatena gli ormoni peggio di una falange macedone in fase d’attacco. Oscar si rende conto che tra sti due sta per succedere l’irreparabile e quindi, per la ragione di stato ma soprattutto perché il figaccione scandinavo è il primo a farle capire che a diventare maschio ha probabilmente fatto la più grande minchiata della sua vita, prende di petto il figaccione di cui sopra e gli chiede di andarsene. E lui se ne va. Il tutto mentre André, nelle retrovie, scondinzola.
Perso il bonazzo, Maria Antonietta sceglie come favorita madame de Polignac, una pazza furiosa che mentre cerca di convincere la regina a simulare una gravidanza rubandole circa mezzo miliardo a puntata, investe con la carrozza una donna del popolo uccidendola. Ma questa, in punto di morte, fa in tempo a rivelare alla figlia, Rosalie, di non essere la sua vera madre. Lei, Rosalie, decide di farsi giustizia da sola e di andare a corte per pugnalare l’assassina della madre che non è la madre ma per lei è lo stesso sua madre, per poi scoprire che la sua vera madre che lei non ritiene essere la sua vera madre perché una madre non si comporta così, è l’assassina della madre finta che per lei è la madre vera, ovvero Madame de Polignac, cioè la madre vera che per lei è finta ha ucciso la madre finta che per lei è vera (sì, queste ultime righe sono state scritte volutamente così, perché è all’incirca così che la cosa viene spiegata nelle puntate relative).
Ma Lady Oscar dove cazzo è in tutto questo? È proprio qui, che raccatta Rosalie da terra e decide di aiutarla. Ora, può sembrare quanto meno strano che il responsabile supremo della sicurezza della regina passi il tempo a salvare fanciulle plebee anziché vigilare sulla regina cui nel frattempo la Polignac sta rubando pure le mutande. Così come è sempre quanto meno strano che questa Rosalie, apparsa di sfuggita in una delle prime puntate offrendo il suo corpo a Oscar in cambio di denaro, riappaia venti puntate dopo diventando una delle protagoniste. Se poi, tra le tante e varie stranezze, qualcuno si stia chiedendo che cazzo di fine abbia fatto il duca d’Orleans, non se ne abbia cura: ce lo chiedemmo tutti, all’epoca. E non avemmo mai risposta.
Quindi, compresa l’ubriachezza degli sceneggiatori che lasciano e prendono sottotrame con una disinvoltura che manco ne “Gli occhi del cuore” (tranne ovviamente l’unica certezza che André, in silenzio, scodinzola), va detto che a tale pericolosa inclinazione alla sbronza scribacchina si aggiunge tragicamente la follia del doppiaggio italiano. Rosalie si offre a Oscar perché E’ una prostituta, ma nel doppiaggio italiano – complicando paurosamente la storia della madre vera e della madre finta – lei è lì lì per diventare una prostituta, ma Oscar la convince a desistere, producendo situazioni a go-go in cui non torna un bel niente.
Tra l’altro, Rosalie si innamora di Oscar. Perché pensa sia un uomo e non sa che in realtà è una donna. Nell’originale giapponese NESSUNO sa che Oscar è una donna (tranne André che però, risaputamente, scondinzola). Il doppiaggio italiano, per motivi impossibili da comprendere, ha invece stravolto questa cosa, ovvero TUTTI sanno che Oscar è una donna. Inutile dire le situazioni incomprensibili e paradossali che ne scaturiscono, a partire da quel “madamigella Oscar” con cui tutti la apostrofano… come se io chiamassi una tizia “signorina Osvaldo”. Va be’…
Comunque, mentre Rosalie tenta senza riuscirci di ammazzare la Polignac e la Polignac tenta riuscendoci di fregare Maria Antonietta e la figlia della Polignac – quella legittima, non Rosalie la ripudiata – muore suicida a undici anni (è pur sempre un anime, e siamo arrivati a oltre venti puntate senza nemmeno una tragedia devastante e quindi gli sbronzi di cui sopra tirano fuori dal nulla l’ennesima figliola della Polignac) e André ovviamente scondinzola, lo svedese, che si chiama Fersen, torna in Francia. E stavolta gli ormoni prima ballano la samba e poi si scatenano come orde di guerrieri cheyenne, quelli di Maria Antonietta, ma anche quelli di Oscar. André se ne accorge e rosica, ma non fa niente e, da par suo, scodinzola. Comunque a sto giro regina e bonazzo diventano amanti, Oscar non solo li copre e di fatto gli fa da mezzana, ma addirittura – per ricordarci e ricordarsi di essere donna – in pieno anime-style deve SACRIFICARSI, e per allontanare le voci della regale relazione clandestina, balla tutta la notte con Fersen soffrendo le pene dell’inferno (chiedo scusa a tutte le mie fidanzate per tutte le volte che non ho ricollegato i loro problemi mentali a Lady Oscar… ).
Tuttavia Fersen, che pare l’unico a non essere un idiota patentato in tutto sto casino, capisce che non può spupazzarsi la regina di Francia a vita, e siccome a starle accanto gli galoppa l’arrapamento, decide di andarsene lontano, nei futuri Stati Uniti a fare la rivoluzione. Una scelta che inevitabilmente triplica la tempesta ormonale. Di Maria Antonietta, di Oscar e di tutte le spettatrici. Compromettendo per sempre il rapporto tra i due sessi della mia generazione. La mia fidanzatina alle elementari me lo disse chiaramente: “ma tu quando vai a combattere in America?”. E io capii che la mia vita sessuale sarebbe stata un casino.
Partito Fersen, scoppia lo scandalo della collana, rispunta non si capisce bene come né perché il duca d’Orleans, Rosalie va a vivere con un giornalista di nome Bernard amico di Robespierre e Oscar inizia a dare la caccia a un misterioso Robin Hood in salsa francese pre-rivoluzione che si fa chiamare Il Cavaliere Nero. Mentre Oscar non aveva capito nulla, è André che, a sorpresa, smette di scondinzolare e scopre che il misterioso ladro che ruba ai ricchi per dare ai poveri è il Bernard di Rosalie. Solo che siccome André è sfigato come e forse più delle eroine bionde dei manga, nello scoprirlo viene ferito a un occhio. E pure ormai con la vista per sempre compromessa, convince Oscar a non arrestare Bernard, facendo un memorabile discorso sulla giustizia dei gesti del Cavaliere.
Oscar ne resterà finalmente affascinata? No, perché riecco Fersen maledetto. Oscar non ce la fa più e sostanzialmente gli dice che se lo farebbe volentieri e in tutti i versi, ma lui, che è un gentiluomo, le dice la peggiore frase che puoi pronunciare nella vita: “siamo solo amici”.
Oscar, affranta, decide allora che se ne possono andare tutti quanti affanculo: molla il palazzo e la difesa della regina, entra nella Guardia Nazionale e dice ad André che pure lui può togliersi dai coglioni. Lui, a questo punto, che ha scodinzolato per trenta puntate e ha pure perso un occhio, finalmente s’incazza, le confessa di amarla più o meno da quando avevano un anno e mezzo e le strappa la camicia. Ma non le fa alcuna violenza, la lascia a tette al vento (e lascia noi bimbetti con la mandibola a terra) e pronuncia la PEGGIORE METAFORA DELLA STORIA DELL’UMANITA’: “UNA ROSA NON SARA’ MAI UN LILLA’”.
Di peggio, oggettivamente, hanno fatto solo i Litfiba quando hanno scritto la rima baciata “regina di cuori/ mi mandi di fuori”.
A questo punto la storia si è impantanata, non ci sono più sbocchi, i personaggi principali sono ingolfati, su quelli secondari non ci si capisce più niente quindi è necessario non chiudere niente, mandare tutto all’aria e far scoppiare la rivoluzione. Che per quanto arrivi nel più posticcio dei modi è la parte più bella, quella dove finalmente arriva un po’ di soddisfazione, nel senso che, dopo che si sono votati alla causa rivoluzionaria, Oscar confessa ad André mezzo cieco di ricambiare il suo amore e finalmente SCOPANO, un risarcimento danni per entrambi e un sospiro di sollievo per un’intera generazione… anche se siamo in un anime giapponese, non dimentichiamolo, e quindi la felicità è breve come la pipì di una farfalla. E infatti, manco il tempo di godersi l’orgasmo, André muore raggiunto da un colpo di fucile e Oscar, il giorno dopo, lo segue durante l’assalto alla Bastiglia. Mai ‘na gioia oh…
Comunque, la parte più bella anche perché, sesso e duplice addio strappalacrime a parte, è quella dove spariscono i paradossi, tutto è legato, tutto è logico, tutto è coerente.
Solo che non l’ha scritta né l’autrice del manga né gli sceneggiatori dell’anime, ma la Storia. E meno male…
Ultima cosa: l’ultimo inverecondo delitto su questo cartone lo fece Mediaset quando negli anni 90 cambiò la splendida sigla originale con una canzonetta da denuncia cantata da Cristina D’Avena.
Vuoi mettere la poesia di “Con scatto felino ed abile mossa/ colpirà tutti e tre” con l’idiozia de “Poi c’è il rombo del tuono/ che tremendo frastuono”?
Per una volta, solo per una volta, la mia generazione vince tre a zero…

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