CCCP – “Annarella”

E c’era questo 1990 che ancora odorava dappertutto di anni 80, tragicamente e inequivocabilmente. Eppure, comunque e tuttavia, olfatti affinati e antenne alzate sopra il livello standard dell’allegra sopravvivenza quotidiana, il cambio di passo lo sentivano, lo percepivano, lo annusavano.
In meglio o in peggio chi se ne fotte, c’era e questo basta. E già aveva quel tratto gentile e disperato, quel passo in punta di piedi e silenziosamente urlante che sarebbe diventato il marchio di fabbrica del decennio.
E in questo impercettibile e devastante cambiamento c’era Epica Etica Etnica Pathos, l’ultimo, splendido, immenso, tragico e maledetto album dei CCCP, che erano il lato più “sanoscuro” degli anni 80, figli ribelli e imprescindibili di quel decennio e che, ovviamente, coi 90 post Berlino non potevano più esistere, ma che con questo capolavoro mettevano un piede nel nuovo, suggerivano strade, disegnavano alcuni tra i pentagrammi più gloriosi&clamorosi della musica italiana di ogni tempo.

Che poi io quando questa meraviglia di vinile (vinile sì, che nel 90 ancora CD non voleva dire un cazzo) arrivò nei negozi di dischi, io – che avevo 13 anni e preparavo l’esame di terza media – lo cagai poco o nulla.
Troppo impegnato coi mondiali e con le tonsille che di lì a poco mi sarei tolto. E troppo impegnato, musicalmente parlando, a scoprire l’universo lisergico dei Doors. E sti CCCP li conoscevo poco o nulla, ai miei occhi erano quelli che mi divertivano da matti col punk indiavolato di SPERMI SPERMI INDIFFERENTI, e questo album qua, che andava dallo stereo della solita cugina, mi pareva noioso.
Ma ebbe vita breve, quella superficialità da neolicenziato delle medie.
L’avrei riscoperto sto capolavoro, cazzo se l’avrei riscoperto.
Mesi dopo. E sarebbe diventato la colonna sonora degli anni a venire, delle assemblee e delle occupazioni al liceo, come il giorno dopo la bomba ai Georgofili, che A., bella da togliere il fiato nella sua cascata di capelli ramati, in piazza urlò e pianse forte e poi ci incitò tutti alla rivolta tagliandosi quelle ciocche lucenti con le forbici dei cartelloni.
E l’amavo, amavo lei e amavo tutti quanti in quella mattina disperata ed eroica di ingiustizia e adolescenza… e c’era questa canzone che andava dall’altoparlante in tutta la piazza, “Annarella”, che è semplicemente una delle canzoni d’amore più belle di sempre senza altro da aggiungere…

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#gliAnniNovantaInMusica
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