Ultima spiaggia (in memoria di S.)

Stasera pubblico questa, datata 3 aprile 1993, giusto ventisette anni fa. E lo faccio senza imbarazzo, perché l’avevo scritta per te, che sei stata magari non proprio il primo, ma uno dei miei primissimi amori, uno di quelli con cui ho scoperto che rumore fa un cuore quando si innamora. E mi ricordo anche il momento esatto dell’innamoramento, che in quella stagione così eroica, splendida e disperata della vita ci si innamora in un istante. Ed eravamo in treno, quell’istante lì, di ritorno da una manifestazione per Sarajevo, e tu avevi i capelli raccolti in una crocchia da un foulard trasparente con alcuni fiori ricamati.
Ricordo questo e ricordo tutto – la corriera che ci portava a scuola, i nostri discorsi interminabili, le scarpe consumate su e giù per Rugapiana, il cuore spezzato quando non volevi saperne, un bacio che è durato qualcosa tipo un’ora e mezzo, i libri di Jim Morrison, le cassette polverose degli walkman e le cuffiette da condividere, il pezzo di Vasco che diceva “crudele e splendido” e mi faceva pensare a te – anche se a volte mi sono dimenticato di ricordarlo.
Ricordo che c’eri, soprattutto, che eravamo amici, che sei stata una protagonista – splendida, insostituibile – della stagione più leggera e disperata dell’esistenza, quando si è pazzi e strafatti soltanto di vita, incarnazioni di promesse, miracoli – direbbe Montale – di pura inesistenza.
E poi ci siamo persi, in quel modo senza perché che capita assurdamente a tutti crescendo, e di te – pur ritrovandoci di tanto in tanto per brevi momenti – non ho saputo più niente.
E stasera, alla fine di una giornata stupida come tante altre, vengo a sapere che non ci sei più, che sei morta.
E mi chiedo, distrutto, annichilito, come sia possibile che tu – nei miei pensieri ancora ferma lì, tra un vagone e l’altro in quella splendida crocchia di quindicenne – non ci sia più, dove diavolo sia andato quel sorriso che nonostante le botte, le ferite, la vita mai facile e gli smarrimenti cosmici era sempre lo stesso di quando ci salutavi prima di entrare a scuola.
E in questo casino di amarezze e dolore, in questo vortice ubriaco di ricordi e domande senza risposta in cui sto precipitando, non so far altro che ritornare lì, a un giorno della nostra splendida e ridicola adolescenza quando, pazzo e sfrontato e sedicenne, decisi di farti vedere, sotto forma di poesia, com’era che batteva il mio cuore…

Addio mio sorriso giovane, buon viaggio piccola Sonia…

ULTIMA SPIAGGIA (poesia per S.)

Invecchiano i sogni
e invecchiano le speranze;
lasciale passare,
tanto il mondo non cambia.

Prima di sentire il fischio della nave,
vorrei conoscere i segreti dei tuoi mille pensieri,
mentre oscilla la paura
nell’incertezza di essere vivi.

Voglio un’ultima illusione
che solo tu puoi darmi;
ma almeno dimmi perché hai pianto
e perché ancora stai soffrendo.

La speranza non ha più voglia di vivere,
la voce che senti è quella di un falso eroe:
invecchiano i sogni
e invecchiano le speranze;
lasciale passare,
tanto il mondo non cambia.

La nave è la mia ultima spiaggia,
l’ultima possibilità che ho di vederti.
Dimmi che mi hai amato,
dai, almeno un po’…

(RL, 3 aprile 1993)

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