Daria e Francesca (l’amore ai tempi dei sospiri)

Daria portava i capelli corti. Da sempre, dal giorno in cui, aveva quattro anni, sua madre trovò finalmente lavoro e pensò bene di tagliarglieli come un maschio per fare prima la mattina quando la preparava. E ancora oggi, diciassette anni, non sapeva vedersi in altro modo.
Daria indossava sempre pantaloni larghi e maglioni sformati, nemmeno un filo di trucco su quei lineamenti duri e squadrati. E aveva occhi bellissimi, rotondi, grigioverdi, quasi accecanti.
Daria parlava poco e fumava tantissimo. La fronte accigliata, il tono della voce sempre un po’ polemico e libri sconosciuti tra le dita. Conosceva e frequentava gente più grande di lei, ma non aveva veri amici, nemmeno a scuola, nemmeno nel quartiere popolare dove era nata e cresciuta.
Poi un giorno di gennaio in classe sua arrivò Francesca e le cose cambiarono.
Francesca veniva dal nord, aveva riccioli lunghissimi, neri come i suoi occhi, seni enormi che non si preoccupava di nascondere e profumava di patchouli.
Francesca era sorridente, formosa e soprattutto era nuova. Quasi troppo facile, appena arrivata, trovarsi addosso gli occhi, gli inviti e le attenzioni di tutti. Ma Francesca scelse la ragazza taciturna dagli occhi disinteressati e puntati sempre fuori dalla finestra. Scelse Daria. E la scelse per quei libri sconosciuti, per quei vestiti scombinati e senza direzione. Scelse Daria perché è inevitabile scegliere quando si è curiosi.
Daria si lasciò scegliere e quasi senza accorgersene ritrovò le sue giornate intrecciate a quelle di Francesca. A modo suo, senza troppi slanci, senza abbracci e senza promesse iniziò a volerle bene come non ne aveva mai voluto a nessuno, a sentirsi a legata a qualcuno come non lo era mai stata.
Bastarono poche settimane per diventare inseparabili. Dove era una era l’altra: Francesca raddoppiò le sigarette e Daria iniziò a sorridere più spesso. Si confidavano tutto, o quasi tutto, a volte senza nemmeno parlare, perché non contavano le parole, l’importante era essere amiche, essere in due, essere insieme, attraversare mano nella mano quell’intricata foresta senza mappa che è l’avere diciassette anni. Aversi aveva cambiato il colore delle loro giornate, ed era bello e speciale camminare per strada, stare in mezzo agli altri e sapere che tutto il mondo era escluso dai loro sguardi, dal loro sentire comune, dalla loro amicizia.
“Saresti bellissima con un filo di matita sotto gli occhi…”, ripeteva spesso Francesca guardando Daria, dopo attimi di silenzio. E Daria le rispondeva sempre sbuffando bonariamente e allontanandola con le sue mani dure e sgraziate. Con le sue mani da maschio.
Poi venne quel sabato di maggio, la festa in campagna, l’arrivo in motorino sulla strada sterrata, Francesca in gonna lunga e a fiori, Daria con cinque litri di vino nello zaino. E poi il casino, la musica a palla, Francesca che ballava bella come la giovinezza in mezzo alla sala, seni traboccanti e fili di capelli impigliati tra le labbra. Poi un ragazzo era stato più gentile di altri e Francesca l’aveva seguito tra il canto dei grilli e l’odore del grano, e s’era fatta baciare e toccare, e l’aveva toccato e s’era sentita bellissima a vederlo felice e appagato. Daria invece aveva bevuto e fumato troppo, aveva strippato cinque o sei volte e Francesca la ritrovò quasi all’alba mezza addormentata e abbandonata su un divano. Con dolcezza la prese sulle spalle e adagiata sul motorino la riportò a casa sua, perché i genitori di Francesca erano al mare e Daria avrebbe dormito da lei.
La spogliò prima di metterla a letto e per la prima volta da quando erano amiche la vide nuda. Sotto quei vestiti impenetrabili Daria nascondeva un corpo magro e nervoso, modellato da muscoli che le attraversano la pelle come le scie degli aerei, seni piccoli e rotondi e schiena e gambe lunghissime. Per un attimo Francesca la invidiò: avrebbe voluto quella pelle olivastra e quel corpo così asciutto e tornito al posto delle sue forme traboccanti e invadenti con cui era costretta a convivere. Si spogliò anche lei e si sdraiò accanto a Daria. La abbracciò stringendola forte, poi non resistette e prese a baciarla su quella schiena così lunga che quasi pareva non finire mai. Daria si girò, mormorò qualcosa nel sonno e aprì gli occhi appena appena. Cinse Francesca con le braccia, le adagiò la testa profumata sul suo petto e le baciò e le accarezzò i capelli fino a farla addormentare.
Si svegliarono che era quasi pomeriggio, intrise di calore e sudore. Non c’era imbarazzo, solo un rossore leggero come la matita che Francesca avrebbe voluto passare sotto gli occhi di Daria. Si lavarono e si vestirono. Poi presero le biciclette e pedalarono nel sole di quella splendida domenica pomeriggio cantando a squarciagola o mare nero, mare nero, mare neeee…tu eri chiaro e trasparente come meeeee…. C’era un fioraio aperto, e Francesca comprò un mazzo di fiori per sua madre che compiva gli anni il giorno dopo. Alla fine si fermarono ai giardinetti, in un’aiuola davanti a una fontana.
“Senti che bel profumo!”, disse Francesca mettendo i fiori sotto il naso di Daria.
Daria chiuse gli occhi e respirò a lungo quell’odore. Rialzò la testa e scoppiò a piangere.
Francesca, che non l’aveva mai vista piangere, le chiese: “Daria, cosa c’è? Perché piangi?”
“Perché voglio un grande amore…”

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#storieRiccardoLestini

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