Dai “Visconti dimezzati” al silenzio degli intellettuali (cronache tristi di una campagna elettorale senza più politica)

C’era una volta la politica.
Che implicava delle scelte, più o meno definite e nette, ma comunque precise, chiare e rivendicate con orgoglio. E che tutte insieme definivano le “linee” dei partiti, altrettanto chiare e precise e di cui poi i rispettivi leader erano portavoce e incarnazioni più autorevoli.Oggi tutto questo non esiste più.
Soprattutto non esiste più questo concetto di scelta, di definizione della propria linea d’azione e di chiarezza.
Oggi i leader politici appaiono come tanti “Visconti dimezzati”, come li definisce giustamente il direttore Marco Damilano sull’ultimo Espresso. Come il celebre personaggio di Calvino, in parte fanno una cosa e in parte ne fanno un’altra, dicono (e sono) tutto e il contrario di tutto. Non cambiano idee, ma tengono tutte le idee possibili a comoda portata di mano, come il mazzo di carte nascosto dei bari di professione.
Così Di Maio è metà Masaniello e metà rassicuratore e mediatore, metà anti sistema e metà architrave del sistema, metà social e metà istituzionale. Il centrodestra è metà Salvini e meta Berlusconi, Berlusconi per metà c’è e per l’altra metà non c’è, Salvini è metà giustiziere e metà evangelico. Renzi metà conservatore e metà rottamatore, metà nel PSE e metà con Macron.
E così via, all’infinito.
Ma se i leader cercando goffamente di essere tutto finiscono per non essere niente, come si può pretendere che gli elettori possano scegliere qualcosa?Questo sconclusionato valzer dei “Visconti dimezzati” è il punto più basso e più critico del fallimento totale del passaggio dalla politica dei partiti a quella del “capo”. Nella nostra smania di antipolitica abbiamo dimenticato come i partiti, che ci piaccia o no, avevano tanto un ruolo quanto una funzione, entrambi fondamentali: erano il cesello delle istituzioni, la chiave di accensione delle macchine amministrative, il codice del funzionamento dello Stato e la sua quadra. Non solo scuole e laboratori di pensiero, ma anche luoghi fisici di incontro e punto di riferimento per la gente comune.
La sparizione dei partiti nel corso della seconda repubblica e l’avvento dell’era del grande capo, fu salutata come l’alba di un nuovo mondo.
L’effetto è stato invece devastante, e oggi ne dobbiamo raccogliere i cocci più frantumati.Visto lo scenario non stupisce, ma lo stesso annichilisce, il silenzio assoluto degli intellettuali. E intendo quelli veri, non gli pseudo intellettuali che non si limitano ad andare in TV, ma ci vivono dentro, apparendo a ogni ora e partecipando a questo grottesco festival del nulla e della ciarla.
Di quelle linee gli intellettuali erano le anime critiche, coloro che suggerivano spunti, dubbi, domande, prospettive sempre nuove e riflessioni scomode e intelligenti. Le voci libere capaci di aprire nuovi orizzonti.
La loro assenza è l’ennesima testimonianza, forse la più grave, di un deserto misero e senza fine.

“Io sono una forza del passato”, scriveva a questo proposito, con feroce e amaro orgoglio, oltre quarant’anni fa, Pier Paolo Pasolini, uno che nell’anticipare i tempi è stato sempre tragicamente illuminante.
Al punto che oggi, davvero non trovo parole più calzanti ed esatte per descrivere questo scenario e il mio stato d’animo.

Io sono una forza del Passato.
Solo nella tradizione è il mio amore.
Vengo dai ruderi, dalle chiese,
dalle pale d’altare, dai borghi
abbandonati sugli Appennini o le Prealpi,
dove sono vissuti i fratelli.
Giro per la Tuscolana come un pazzo,
per l’Appia come un cane senza padrone.
O guardo i crepuscoli, le mattine
su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo,
come i primi atti della Dopostoria,
cui io assisto, per privilegio d’anagrafe,
dall’orlo estremo di qualche età
sepolta. Mostruoso è chi è nato
dalle viscere di una donna morta.
E io, feto adulto, mi aggiro
più moderno di ogni moderno
a cercare fratelli che non sono più.

(Pier Paolo Pasolini, “Poesia in forma di rosa”)

#specialeElezioni2018
#resistenzeRiccardoLestini

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