Che vinca il peggiore

Anche questa è finita.
Stasera, a mezzanotte in punto, calerà il sipario su quella che senza dubbio è stata la peggior campagna elettorale della storia della repubblica.
Forse domenica questa atroce legge elettorale non partorirà governi né vincitori, ma in ogni caso, comunque vada, vuoto e nulla avranno già vinto.
Ha già vinto il nulla espressivo, il linguaggio più basso, trito, volgare che una classe politica sia mai riuscita a produrre. Parole, frasi, espressioni dall’agghiacciante all’inascoltabile. Da “buon complotto a tutti” di Renzi a “ho amore e passione per il Tirolo” della Boschi, da “un esercizio di purificazione collettiva” di Di Battista a “sono come i Rolling Stones” di Mastella, da “secondo gli ultimi sondaggi sempre più persone dormono col proprio cane preferendolo al partner” di Berlusconi a Di Maio che cita orgogliosamente Fabrizio Moro ed Ermal Meta, dalla “razza bianca” del leghista Fontana al fiore giallo e petaloso della Lorenzin. E le frasi e le espressioni clonate e ripropinate all’infinito, buone per ogni momento, ogni circostanza, quasi fossero figlie di un generatore automatico di auguri testato sui social: “mele marce”, “pulizia”, “perché allora gli immigrati non li ospiti a casa tua?”, “a casa, a casa”. Il tutto condito da inglesismi insopportabili, pessime citazioni cinematografiche (come Rocky, ha sottolineato la Taverna riferendosi alla necessità di vincere) e vivaci dialettalismi ammiccanti (da Spelacchio a er Moviola).
Un vuoto penoso, una miseria di linguaggio allucinante e preoccupante dove, se la forma spaventa per la sua pochezza, il contenuto non ha vita migliore. Anzi.
La ricorderemo, questa campagna elettorale, per la moltiplicazione scriteriata e sconsiderata – davvero come se non ci fosse un domani – di promesse. Verbi coniugati al futuro prossimo come “faremo”, “daremo” o presenti tronfi e sboroni come “lo metto nero su bianco”, “assicuro”, “non vedo l’ora”, sono caduti a pioggia torrenziale a ogni ora del giorno. Che la politica sia (anche) arte della promessa, nessuno lo mette in dubbio. Che poi queste promesse siano completamente fuori da ogni logica e palesemente fuori dalla realtà, che a queste promesse non si accompagni nemmeno la preoccupazione di allestire bugie minimamente credibili e nemmeno lo sforzo di fornire dati minimamente concreti, è assai meno normale.
Scrive Ceccarelli nell’ultimo numero dell’Espresso: “stupisce come ci sia ancora qualche volentoroso [giornalista, economista, opinionista, ‘ndA’] che s’è messo a calcolare l’impossibilità degli impegni assunti da questo o quell’altro leader”. Stupisce perché loro, i leader, sembrano davvero gli ultimi a preoccuparsene: lo sanno benissimo, mentono sapendo di mentire e non si preoccupano nemmeno di nasconderlo. Un tempo quando la politica le sparava grosse si preoccupava di illuderci che fossero verità rivelata. Oggi non più. Oggi tutti dicono tutto e il contrario di tutto, contemporaneamente si alzano le pensioni minime, si alzano i salari, si diminuiscono le tasse a chiunque, si distribuiscono gratuità a pioggia e si istituisce il reddito di cittadinanza. Il tutto mentre non esistono tagli in nessun settore. E mentre lo dicono, in una specie di folle (e terrificante) dramma dell’assurdo che neanche Beckett sarebbe riuscito a concepire, in un parlarsi addosso compulsivo nemmeno pretendono di essere creduti. Gli basta essere votati.
Un voto che comunque arriverà perché, in un’omologazione che ha appiattito qualsiasi cosa facendo sparire sfumature e complessità, le promesse, gli stessi programmi fantascientifici vengono percepiti come dettagli trascurabili. Ciò che conta è il colpo da 140 caratteri su Twitter, l’immagine da esibire, il corpo vivo del capo (di cui il grottesco concorso a premi “Vinci Salvini” ne è l’esempio più lampante) che si autocelebra in un narcisismo continuo e debordante.
La vittoria del vuoto e del nulla rende così ancora più assurda la ricerca di qualcosa di nuovo, di innovativo, una pur vaga parvenza di qualche sguardo su un futuro possibile. In questo tetro torrente di miseria che è stata questa campagna elettorale non solo non esistono né il nuovo né il futuro, ma non esiste nemmeno il passato. Il passato, semplicemente, non è mai esistito: pur essendo, quasi tutti i protagonisti in campo, politici di lungo o lunghissimo corso, nessuno a sentir loro ha mai governato, nessuno ha mai votato una sola legge del passato recente o remoto, nessuno ha mai ricoperto incarichi governativi o amministrativi. Tutti paiono affacciarsi sulla scena politica per la prima volta.
Così Berlusconi, diciassette anni dopo, può rimettere in scena sé stesso in una replica esatta del celeberrimo “contratto con gli italiani”: stesso studio, quello di “Porta a porta”, stesso conduttore, Bruno Vespa, addirittura lo stesso tavolo. E soprattutto le stesse identiche promesse. Un capolavoro di filologia, se non fosse che in questi diciassette anni per ben otto Berlusconi è stato Presidente del Consiglio e per altri tre ha direttamente sostenuto altri governi (uno tecnico e un altro di larghe intese). Una logica anche minima avrebbe imposto che al cavaliere, anziché concedergli la replica, gli venisse chiesto il perché di quegli impegni puntualmente disattesi nonostante il lungo tempo passato al comando della nazione. Ma la logica non c’è più, è saltata, quindi Berlusconi non ha mai governato e può presentarsi come homo novus come fossimo nel 1994. Può rinnegare gli alleati del passato che gli hanno impedito di realizzare la “rivoluzione liberale” e che sicuramente realizzerà adesso, senza che nessuno gli faccia notare che gli alleati di oggi sono praticamente gli stessi di ieri.
Per lo stesso principio di annullamento del passato, D’Alema può permettersi di rinfacciare a Renzi e al PD qualsiasi legge fatta negli ultimi anni, tralasciando candidamente il fatto che quelle leggi sono state votate dal 90% degli attuali candidati di Liberi E Uguali. E Salvini può ragliare dalla mattina alla sera contro “i politicanti di mestiere” trascurando il fatto che lui, di politica, ci campa da quando aveva diciott’anni.
E anche la novità che dovrebbero rappresentare i Cinquestelle e il loro giovanissimo candidato premier, è tutta apparente, puro fumo negli occhi. Nell’oculata trasformazione da forza eversiva e di rottura a forza governativa, si sono replicate tutte le scenografie e tutte le iconografie della tanto vituperata “vecchia politica”: dall’impegno con gli italiani di berlusconiana memoria al completo scuro con camicia bianca cui pure Salvini, una volta smessa la felpa, si è adeguato, dagli scivoloni linguistici all’arte di dire tutto e il contrario di tutto, in particolare in ambito di politica estera, dove contemporaneamente Di Maio riesce a dichiararsi pro e contro l’euro. Per non parlare della sostanziale impossibilità di capire che politica intende intraprendere in materia di migranti.
In questa logica del riciclo e della ripetizione continua, si diceva, più di ogni altra cosa manca l’avvenire. E senza avvenire, senza un’idea di futuro, senza uno straccio di progetto per il domani, la politica cessa di essere tale. Ed è proprio questa assenza di avvenire, e di politica, a preoccupare e inquietare di più, visto che storicamente, stati e intere civiltà crollano e si annientano proprio quando non hanno più spinta verso il futuro.
C’è un dato in questo senso particolarmente importante. I numeri (quelli veri) ci dicono che il cosiddetto “dumping sociale”, cioè il problema dei salari sempre più bassi, interessa enormemente di più i giovani (che in media guadagnano meno che i pari età polacchi) piuttosto che i vecchi. Tuttavia la politica di loro, dei giovani e dei loro salari tragicamente al di sotto della soglia di decenza e dignità, non ne parla o ne parla poco.
In questa campagna elettorale nello specifico i giovani sono stati i grandi assenti. E non è un caso. Da un lato sono numericamente inferiori agli anziani, e per questo elettoralmente meno interessanti. Così tengono banco le pensioni minime. I salari minimi degli under 30 molto meno. Quasi nulla. È Wlodek Goldkorn a far notare come anche l’economia si comporti nello stesso identico modo: basta guardare le pubblicità per accorgersi come l’incontinenza e la prostata abbiano preso il sopravvento rispetto agli assorbenti e ai profilattici. Segno che gli anziani sono potenziali clienti con soldi da spendere. I giovani no.
I giovani, tornando alla politica, vengono chiamati in causa sempre in maniera astratta, fumosa e inopportuna. La retorica facile e becero-razzista alla Salvini ripete in continuazione, fino allo sfinimento, come abbiamo il dovere di difendere le nostre figlie e i nostri figli dall’invasione straniera. Il problema è che nessuno pensa e lavora per offrire un futuro degno di questo nome a quelle figlie e quei figli che i proclami fascistoidi del leader leghista agitano come vittime predestinate del terribile uomo nero.
La campagna elettorale è finita, l’apocalisse invece pare appena cominciata.
Senza futuro, senza rinnovamento, senza idee, senza speranza per i giovani e senza politica, ci apprestiamo a raccogliere macerie in scenari futuri cui nessuno pensa realmente, ma che forse potrebbero essere ancor più tetri di quanto i molteplici campanelli d’allarme possono far immaginare.
Quando torneremo a scrivere, lunedì, avremo sotto mano numeri e dati e sapremo se e come l’Italia avrà un nuovo governo. Ma comunque vada, il peggio possibile – ovvero il nulla, il vuoto, l’abisso – ha già vinto.
Una volta si diceva: voteremo turandoci il naso.
Oggi è diverso e non è solo questione di turarsi o meno il naso.
Voteremo, ma con la morte nel cuore.
Che vinca il peggiore e così sia.

#specialeElezioni2018
#resistenzeRiccardoLestini

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *