Fabrizio De André – “Korakhane”

In un mondo che in teoria aveva appena abbattuto i suoi muri, ma che in pratica si preparava a costruirne altri, magari meno visibili, ma di certo più forti, sotterranei e duraturi, Fabrizio De André ci salutava con un album dedicato alle “anime salve”, quegli spiriti solitari che procedono “in direzione ostinata e contraria” nel loro essere sempre individui e mai massa, i diversi, gli ultimi.
Quelli che restano fuori dai recinti tracciati dai muri.
Questo brano dell’album, nello specifico, è dedicato al popolo rom, argomento all’epoca spinoso e oggi esplosivo, su cui De André, come al solito, spalanca una prospettiva diversa e profondissima, di straziante umanità e colma di contraddizioni, complessa e semplice al tempo stessa.
Cosa vuol dire rubare?
Lo può dire soltanto chi sa di raccogliere in bocca il punto di vista di dio, grida la canzone nel suo momento più alto.
Noi non abbiamo in bocca il punto di vista di dio, non ce l’abbiamo proprio. E per questo preferiamo, e preferiremo sempre, i mille dubbi, i mille punti di vista spalancati da una poesia alle mille certezze di chi sa parlare solo di ruspe e pulizie…

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