Sonia

Strana ragazza Sonia.
A sedici anni mi innamorai perdutamente di lei perché aveva guance color di pesca e capelli castani striati di rosso. Era piccola e leggera e invece di camminare volteggiava spargendo timidezza e misteri che mi stringevano lo stomaco. Le scrissi cento poesie disperate, e non sapendo quali parole dirle a voce le regalai il mio quaderno. Sonia era timida e avvampava di rossore per un niente. Fu con sforzo disumano che quel giorno di tardo inverno, all’uscita di scuola, mi chiese di fermarmi a parlare. Tremava come una foglia e io pensai che fosse una conchiglia: potevo spezzarla a stringerla troppo forte. Mi ringraziò per le poesie e mi disse che ero speciale. Ma non poteva stare con me.
“Perché?”, le chiesi.
“Non so”, disse lei.

Strana ragazza Sonia.
Dopo quel giorno iniziò a scrivermi lunghe lettere. Mi telefonava spesso. Mi invitava sempre al cinema la domenica pomeriggio. E nella corriera che ci portava a scuola mi sedeva sempre accanto. Uno degli ultimi giorni prima delle vacanze estive mi disse che per lei al mondo esistevo solo io. Provai a baciarla ma lei si scansò.
“Perché?”, le chiesi.
“Non so”, disse lei.
Strana ragazza Sonia.

L’ultimo giorno di scuola nemmeno mi salutò e iniziò a negarsi al telefono. Così una sera di fine giugno, gonfio di birra e rabbia presi la sua lettera più bella che tenevo nel portafogli come un cimelio e la frantumai in mille pezzi. Ci rivedemmo a settembre, all’inizio del nuovo anno scolastico, ed eravamo due persone diverse. Io ero innamorato di un’altra e lei sembrava aver chiuso a chiave in una qualche remota cassaforte ogni sua timidezza. S’era fatta estroversa, casinista, capobanda, logorroica. Incontenibile. Non ci parlavamo più.

Strana ragazza Sonia.
A gennaio ci fu una festa e lei ed io ci ritrovammo all’alba da soli in una stanza. Lei mi prese la mano e se la tenne premuta sul cuore per un tempo infinito. Io ero pietrificato.
“Sei il più bello di tutti”, disse di colpo.
“Perché mi dici questo?”
“Non so”. E andò via.
Strana ragazza Sonia.
Due mesi dopo, a un’altra festa, sparimmo nella notte ubriachi e felici. E ridendo come matti ci baciammo per tre ore. Poi la vennero a prendere e se ne andò. Non parlammo mai di quella notte, di quell’unico nostro bacio infinito e interminabile. Poco prima dell’estate io mi fidanzai, poco dopo si fidanzò anche lei e smettemmo di parlarci.

Strana ragazza Sonia.
La rividi anni dopo, pallida e stravolta, faceva fatica a parlare e ci mise un tempo lunghissimo a riconoscermi. Chiesi a un’amica comune cos’avesse. “Soffre di depressione, è imbottita di piscofarmaci”, mi rispose. Passai una notte insonne a rileggermi tutte le sue lettere, ma non trovai mai il coraggio di chiamarla né di chiedere a qualcuno come stava.

La rincontrai per puro caso l’anno scorso, nel foyer di un teatro. Era come rifiorita e sembrava avesse ancora sedici anni. Mi riconobbe subito e mi fece delle gran feste. Andammo a bere qualcosa e mi disse: “Sai, sono stata molto male, ma ora sto bene”. Ci rivedemmo spesso nelle settimane successive, e un giorno lei mi invitò a un aperitivo. Stavo pagando quando lei mi diede una candela a forma di girasole.
“Questa è per te”, disse.
“E perché?”
“Non so”
Poi andò via senza salutarmi.
Non l’ho mai più rivista.
Davvero una strana ragazza, Sonia.

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#storieRiccardoLestini

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