Fabrizio De André – “La domenica delle salme”

Il genio ruba, si dice. E forse è vero.
Di sicuro il genio non guarda, vede, non descrive né commenta, anticipa, sente.
Soprattutto, sente. Sente il tempo che verrà, ciò che diventeremo e saremo, quegli umori e quelle essenze che già vagolano nel vento gridando il film degli anni a venire ma che noi non riusciamo ancora a vedere. E spesso ci rifiutiamo di accettare anche dopo, quando quel futuro si fa presente o quando diventa passato.
E il genio immenso e garbatamente debordante di Fabrizio De André fece proprio questo.
Nel 1990, agli albori del decennio, quando nonostante la matematica cronologica gli anni 90 dovevano ancora cominciare e ancora resistevano, tenaci e impertinenti, gli anni 80, quando ancora ci illudevamo di navigare in ricchezze inesistenti che pensavamo illimitati, quando ancora l’edonismo modaiolo era un tutt’uno con quello paninaro e cafone, quando nonostante il crollo del muro non volevamo vedere il futuro e rifiutavano di guardare in faccia quei brividi di incertezza che urlavano cambiamento, quando nonostante il mondo in tumulto il pentapartito pareva ancora l’unico e indiscutibile potere possibile, quando la frenesia dei mondiali che di lì a poco si sarebbero giocati in casa nostra ci faceva credere ciecamente alle “magnifiche sorti e progressive”, lui, Faber, sputò fuori quel capolavoro che è l’album “Le Nuvole” e questo pezzo, “La domenica delle salme”, che del disco è sintesi e termine ultimo ma che, soprattutto, preannuncia con spietata lucidità ciò che saremmo diventati.
Sette minuti, una linea ritmica ossessiva e un kazoo assordante e lancinante che arriva a graffiarci la coscienza a ogni ritornello.
Sette minuti, metafore e analogie perfettamente incastonate che già vedono l’orrore in cui saremmo annegati, il funerale di ogni utopia, la fine dei sogni, una generazione – la nostra – condannata già in grembo a essere disperatamente ignorata, il sangue puntualmente lavato con l’ultima marca di detersivo, la televisione panacea e oppio di ogni male e ogni popolo, il chiasso inutile delle monetine lanciate che non volevano alcuna rivoluzione, ma solo altri poteri aberranti con cui giustificare la propria mediocrità, quella prima repubblica putrescente che sarebbe caduta per lasciare posto ad assassini ancor più feroci, poiché privi di volto e di occhi e di anima.
E quella pace terrificante in cui, come umanità, saremmo morti nella più cupa delle indifferenze.
La domenica delle salme.
Era il 1990, l’alba dell’apocalisse.
Quell’apocalisse che, ancora oggi, in molti rifiutano di vedere…
https://www.youtube.com/watch?v=fbyrva6quTg&feature=youtu.be&fbclid=IwAR3Eknzaw6ZCRiRQ5TjuxQC7Ix2pQ-1VysOGrvWerHp7tAVft3YdUllIQTc

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *