Francesco l’eretico

Cos’è un compromesso e fino a che punto si può accettare?
Fino a che punto può essere ritenuto il primo passo indispensabile per far accettare a un’istituzione non ancora pronta idee troppo nuove e rivoluzionarie? E quando invece è un tradimento in piena regola dell’idea originaria?

Tutti interrogativi che la vicenda di Francesco d’Assisi e dei suoi primi discepoli, inquadrata nel contesto storico e sociale in cui avvenne, ci pone inesorabilmente.
Perché il francescanesimo, inteso come ordine e movimento inserito ufficialmente nel mondo cristiano, questo fu: un gigantesco compromesso maldigerito da molti, Francesco in primis.

Ma andiamo con ordine.
Al tempo di Francesco, a cavallo tra XII e XIII secolo, il cristianesimo tutto, inteso sia come gerarchie ecclesiastiche sia come comunità di fedeli, era molto più che in ebollizione.
Come e più che al tempo della lotta per le investiture, si ponevano al mondo intero problemi giganteschi come il potere temporale della Chiesa, la sua ingerenza sempre più tangibile e invasiva negli affari politici, le ricchezze sempre più ingenti nelle mani dei più alti prelati e del papato, la corruzione, la sistematica e palese trasgressione dei dettami evangelici.
Il contemporaneo fiorire delle realtà comunali, l’uscita dai secoli bui dell’alto medioevo, la rinascita del ceto borghese, dei commerci e degli studi, avevano reso il popolo più colto, attento e consapevole, per cui tali comportamenti quanto meno ambigui, se non proprio peccaminosi, da parte della Chiesa, non passavano certo inosservati.
Furono così moltissime, in Italia e in Europa, le voci cristiane di protesta, in aperta opposizione al papato e alla sua condotta. Ci furono mistici solitari, come Gioacchino Da Fiore, che in prediche apocalittiche e visionarie (che tanto influenzarono la letteratura italiana del ‘200, da Giacomino da Verona a Bonvensin de la Riva fino allo stesso Dante) predissero l’imminenza del giudizio universale annunciato dall’avvento dell’anticristo sul seggio papale. E ci furono, soprattutto, gruppi più o meno numerosi e più o meno organizzati, vere e proprie “sette” in seno al cristianesimo, come i Catari e i Valdesi, che non solo proposero, ma tradussero in pratica una chiesa alternativa a quella di Roma.

Per comprendere quindi appieno la figura di Francesco e il francescanesimo, almeno dal punto di vista prettamente storico, occorre capire prima di tutto questo: che quella di Francesco fu una delle tante voci cristiane “contro” figlie di questo particolare contesto in pieno fermento, la cui genesi e, soprattutto, la straordinaria diffusione, non sarebbero state possibili in altri momenti storici.
Si pensi anzitutto alla dottrina francesca, i cui punti essenziali, per sommi capi e in maniera assai schematica, sono: la semplicità, ovvero una voluta e ribadita distanza da qualsiasi cultura libresca e intellettuale; la contrareità assoluta a qualsiasi forma di guerra e il pacifismo universale; l’annullamento di se stessi e la totale obbedienza e sottomissione a dio; la povertà assoluta, non tanto per l’ordine francescano quanto per la società umana nella sua interezza.
Ideali certo molto forti, radicali e rivoluzionari. Ma, calati nella realtà duecentesca appena descritta, non propriamente originali, visto come molti di essi sono sostanzialmente gli stessi dei movimenti citati prima, ovvero i Catari e i Valdesi.
La domanda da porsi è quindi il perché a Francesco e alla sua dottrina toccò un destino così diverso rispetto agli altri movimenti di opposizione contemporanei. Perché agli altri toccò la persecuzione e la repressione mentre il francescanesimo si trasformò in uno degli ordini più importanti in seno alla chiesa romana.

Di certo i rapporti tra Francesco e il papato furono tutt’altro che semplici e, per lungo tempo, il suo ministero fu duramente osteggiato e costantemente considerato, al pari appunto degli altri movimenti, in odore di eresia.
Nel 1210, quattro anni dopo la decisione clamorosa (almeno per lui, figlio di un ricco mercante e avviato all’esercizio della cavalleria) di rinunciare ai propri beni, sposare “madonna povertà” e fondare, al pari di Catari e Valdesi, una comunità che vivesse secondo il modello di Cristo e degli apostoli, Francesco si recò a Roma per ottenere da papa Innocenzo III il permesso di predicare.
Non solo il permesso, così come era successo a Valdo, gli fu negato, ma la reazione di Innocenzo III fu tutt’altro che dialogante: “Vattene frate”, disse il papa emblema della teocrazia al poverello di Assisi, “vai dai tuoi maiali ai quali assomigli e rivoltati con essi nel fango”.
Sempre allo stesso modo di Valdo, Francesco non ubbidì al pontefice e proseguì le proprie predicazioni riscuotendo un successo clamoroso e crescente. Nel 1217 fece un nuovo tentativo con papa Onorio III, ma il permesso fu ancora respinto. L’anno successivo il cardinale Ugolino dei Conti, unico membro del concistoro a nutrire simpatia per il progetto di Francesco, gli sconsigliò caldamente di recarsi a predicare in Francia e Germania, vista la presenza di “molti prelati che molto ti vogliono nuocere”. Tradotto: che ti vogliono catturare, processare come eretico e poi ucciderti.

Finché, nel 1223, lo stesso Onorio III riconobbe ufficialmente l’ordine francescano con tanto di bolla.
Cosa era successo? Come si passò da un diniego assoluto a un’approvazione ufficiale con tanto di bolla papale?
Si era giunti, come scritto all’inizio, a un compromesso.
Un gigantesco compromesso.
Ma prima di tutto, perché il papato non adottò nei confronti di Francesco e dei suoi segaci la stessa politica utilizzata verso le altre realtà ereticali, ovvero repressione e persecuzione?
Lungi dall’avere una risposta completa e definitiva a una questione così complessa e storicamente ancora apertissima, in questa sede diamo alcune motivazioni, diciamo così, “provvisorie”, più simili a spunti d’indagine e riflessione che a soluzioni del problema.
Punto primo, a differenza degli altri gruppi eretici, Francesco non legò mai il suo ordine a una realtà geografica e territoriale definita e circoscritta. Il suo modus operandi diede subito un carattere “globale”, se non proprio “universale” al francescanesimo: anziché fondare una comunità stanziale, egli ne fondò una nomade e itinerante, ispirandosi certo alle predicazioni degli apostoli, ma anche alle incessanti peregrinazioni dei giullari (egli stesso, non a caso, si definiva “giullare di dio”).
Punto secondo, il suo carisma (dai giullari, pare, riprese anche specifiche tecniche recitative per gestire e catturare l’attenzione di folle oceaniche), il suo entusiasmo e il suo essere – questo sì, diversissimo da Catari e Valdesi – lontano anni luce da qualsiasi teologismo filosofico, ma di predicare con parole semplici e dirette, del popolo e per il popolo.
Concause che gli permisero di raggiungere, in breve tempo, popolarità e consenso capillari e impensabili per le altre realtà.
Il papato, come si diceva in forte crisi di consensi e credibilità, non poteva perciò permettersi agli occhi dei fedeli un’azione suicida e impopolare andando contro Francesco. Al contrario, per riguadagnare quei consensi e quella credibilità aveva bisogno di giungere a un compromesso e ricondurre il frate ribelle in seno alla madre chiesa.
Infine, non da ultimo, il nomadismo francescano sfuggiva a qualsiasi sponda politica di cui potesse servirsi il papato, come era successo, ad esempio, con i Catari: per reprimerli e sterminarli, papa Innocenzo III aveva potuto contare, nella propria crociata, dell’alleanza indispensabile del re di Francia, che non aspettava altro che un pretesto per invadere la Provenza (regione dove appunto si era radicata la comunità catara) e annettere la regione al suo regno.

Tuttavia, affinché l’ordine francescano potesse essere accettato, occorreva ripulirlo delle sue istanzee più estreme.
Occorreva, anzitutto, che alla obbedienza a dio, l’ordine aggiungesse il voto di obbedienza alle autorità ecclesiastiche e di predicare esclusivamente al servizio della Chiesa.
Non solo. Ciò che più di ogni altra regola francescana risultava completamente intollerabile per la chiesa di Roma, era la povertà richiesta all’intero tessuto sociale. Fu così “imposta” ai francescani la possibilità, contrariamente a quanto voluto da Francesco, di possedere beni materiali e vivere in convento, cessando di fatto di essere una comunità itinerante e pauperistica.

Fu il cardinale Ugolino dei Conti, mettendolo al corrente dei gravi pericoli che correvano lui e tutti i suoi discepoli, a convincere Francesco, preoccupato per la vita dei suoi fratelli e desiderando la sopravvivenza di quell’ordine così faticosamente costruito, a scendere a patti con la Chiesa.
Ma i patti imposti da Roma, ovvero l’eccezione alla povertà assoluta e il voto di obbedienza alla Chiesa, furono ben più gravosi di quanto Francesco avesse immaginato, al punto che dopo l’approvazione di Onorio III, rinunciò alla carica di ministro generale dell’ordine francescano ritirandosi a vita eremetica fino al giorno della sua morte.
Provò, con il suo testamento, a rendere irrilevanti i dettami della “Regola Bullata” (ovvero la regola francescana approvata dalla bolla di Onorio) e a vincolare il futuro dell’ordine agli insegnamenti originari, ma la stessa maggioranza dei suoi fratelli si oppose.

Un epilogo tutt’altro che di pace e fratellanza.
Anzi, un epilogo destinato a lasciare strascichi assai problematici e ancor più laceranti.
Il successore di Onorio III, Gregorio IX che da cardinale aveva apertamente osteggiato Francesco tacciandolo di eresia, appena salito al soglio pontificio, nel 1228, morto ormai il grande nemico, sistemò immediatamente la questione francescana con un autentico “capolavoro” politico in due mosse. Da un lato canonizzò Francesco e, avviandolo alla santificazione, diede l’immagine di una Chiesa, e di un pontefice, sensibile al volere popolare, nemica della corruzione e apertissima al nuovo. Dall’altro si preoccupò di rendere assolutamente nullo il testamento di Francesco, inchiodando i francescani a quanto previsto dalla “Regola Bullata”, tacciando anzi di eresia qualsiasi frate non allineato.
Infine, per offrire un’immagine del Santo coerente con quanto previsto dalla “Regola Bullata”, si adoprò a costruire una “biografia ufficiale ed autorizzata” del Santo, ovvero un’immagine di Francesco, che è poi quella tramandata nei secoli, espunta ed epurata dagli aspetti più controversi, scomodi, estremi e radicali.
Un’immagine quindi fasulla e falsata dove Francesco il battagliero, il povero, il folle, l’anarchico, il mistico, l’eretico, scompare completamente (un esempio su tutti di tale edulcorazione: il celeberrimo episodio della predicazione agli uccelli, conosciuto come parabola sull’amore universale, fu invece una concione del Santo in polemica e accesa risposta agli insulti di Innocenzo III che, come si ricordava, lo aveva cacciato via in malo modo dal suo palazzo).

I frati, subito dopo la sua morte, si divisero tra “Conventuali”, cioè coloro che scelsero di seguire la “Regola Bullata”, e “Spirituali”, ovvero coloro che vollero attenersi agli insegnamenti originari di Francesco e al suo testamento. I primi accolti in seno alla Chiesa, i secondi prima mal tollerati e poi apertamente perseguitati come eretici.
Ma questa è un’altra storia che, magari, racconteremo in altra occasione.
Per adesso è qui che ci fermiamo, con l’immagine di questa operazione di epurazione e aggiustamento che rese, nei secoli, conciliante, innocuo e rassicurante uno dei messaggi più forti, inquietanti e rivoluzionari della storia dell’umanità.

E a quelle iniziali, aggiungiamo un’altra domanda: di chi parliamo esattamente quando parliamo di San Francesco?

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