Quale giustizia

Sulla tragedia di Stefano Cucchi ho ben poco altro da dire e da aggiungere.
Nel senso che, nel corso degli anni, il mio pensiero su tutta questa atroce faccenda, l’ho già detto, scritto e ribadito pubblicamente più e più volte. E lo trovate qui, su questa stessa pagina, disseminato in molti post pubblicati in passato.
Per questo oggi, alla luce degli ultimi sviluppi giudiziari in merito, piuttosto che sul fatto in sé, sento il bisogno di una riflessione altra e più ampia.
Ed è una riflessione molto amara.

Ho letto, visto e sentito le infinite manifestazioni di gioia e sollievo per il rinvio a giudizio, con l’accusa di omicidio preterintenzionale, nei confronti dei tre carabinieri ritenuti responsabili della morte di Stefano.
Eppure, nonostante sia il primo a essere d’accordo con la decisione della procura, a ritenerla giusta e sacrosanta e ad abbracciare questa improvvisa ritrovata speranza di verità e giustizia, io non riesco a sentirmi sollevato né a sentire nell’aria quel “profumo di giustizia” di cui tanti hanno parlato.

Questo perché, prima di tutto, penso che davanti a storie così torbide, scioccanti e controverse, dove niente torna e niente è in ordine, dove si affastellano palesemente silenzi, bugie e insabbiamenti, sia un dovere di ogni paese civile andare SEMPRE fino in fondo, lasciare che la giustizia ordinaria faccia il suo corso attraverso processi, dibattimenti e gradi di giudizio. E arrivare a una sentenza chiara, seria, credibile e motivata. Specie quando in storie come questa sono coinvolti pubblici ufficiali, figure che rappresentano lo Stato e che le leggi di quello Stato dovrebbero garantirle, non porvisi al di sopra.
E questo non perché io creda, come molti purtroppo pensano, che le forze dell’ordine siano colpevoli e “infami” a prescindere, ma per l’esatto contrario: penso questo proprio perché credo nelle forze dell’ordine, nel loro ruolo fondamentale e nella loro pulizia, e non voglio che vi siano ombre.

Il problema è che tutto questo – il fare chiarezza senza paura né omissioni, l’andare fino in fondo, lasciare che la giustizia faccia il suo corso – dovrebbe essere la regola, mentre da noi, in Italia, dove la logica del mistero irrisolto pare una specie di tradizione nazionale inestirpabile, è una casuale eccezione.

Perché questo è il punto di arrivo – ripetiamo fondamentale, importantissimo e sacrosanto – della procura sul caso Cucchi: un’eccezione.
Eccezione dovuta non al corretto funzionamento del sistema giudiziario in particolare e dello Stato in generale, ma dovuta solo ed esclusivamente all’azione incessante e coraggiosa di una famiglia, sorella di Stefano in testa, che non ha mai mollato.
E per ognuna di eccezioni come questa ci sono decine e decine di regole dove le famiglie non hanno i mezzi, gli strumenti o anche semplicemente la forza per affrontare tutto questo e finiscono per rassegnarsi ben presto al silenzio e all’ingiustizia.

Inoltre, non dimentichiamo, tutto questo arriva dopo otto anni. Otto lunghi, lunghissimi anni per ottenere non, si badi bene, una sentenza definitiva (come in molti hanno ingenuamente creduto e frainteso), ma solo la possibilità di portare tutto questo in un tribunale e in un processo. Il cui esito è tutt’altro che scontato.

Spero anch’io, con tutto me stesso, nella verità è nella giustizia per Stefano Cucchi e per chiunque si trovi in storie del genere.
Ma se allargo il tutto alla visione di questo paese, non posso che vedere tristi macerie.

#resistenzeRiccardoLestini

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