Dove l’omosessualità è ancora un tabù

lesbica_980x571Domani è il 4 marzo, quindi comincio da Lucio Dalla. Da quei funerali così belli – per la straordinaria partecipazione di una città, Bologna, e di un popolo che in Dalla vedeva molto di più che un semplice cantautore – eppure così assurdi. Assurdi per il divieto di suonare le sue canzoni in chiesa. Il motivo: Dalla era gay (però, ad esempio, in chiesa sono state suonate canzoni di atei conclamati, ergo l’omosessualità in qualche modo, dalla religione. è ritenuta più grave dell’ateismo). Assurdi per come l’ultimo compagno di Dalla, Marco Alemanno, è stato presentato come “un amico”. All’epoca dei fatti – correva l’anno 2012 – scrissi un articolo in proposito. Si intitolava “Perché l’omosessualità è ancora un tabù”. E oggi, a quattro anni di distanza, penso che “tabù” sia sempre, e ancora, la parola più adeguata a definire il fenomeno. Tabù, qualcosa che c’è, esiste, ma di cui non se ne deve parlare. Perché non sta bene, perché non è opportuno. Perché è meglio far finta che non esista. Oggi, molto più che in passato, mi rendo conto come l’omosessualità sia ancora un problema insormontabile, un tabù gigantesco. Lo vedo, lo leggo in molti commenti dei miei post sull’argomento, in molte risposte alle mie domande. Vedo e leggo come per molti la contrareità alla cosiddetta “maternità surrogata” – di cui tanto si discute in questi giorni – non consista tanto nel problema etico in sé, e cioè la vendita – in qualunque caso – della maternità, quanto nel fatto che a beneficiarne possano essere due omosessuali. Quanto cioè il problema risieda nella possibilità che un bambino (indifferentemente se proveniente da maternità surrogata o adozione) possa crescere con due genitori dello stesso sesso. Non voglio però – e lo dico in maniera, diciamo così, preventiva – sollevare ulteriori dibattiti sull’utero in affitto e via dicendo (per considerazioni di questo tipo, in questa stessa pagina, vi sono post e articoli espressamente dedicati all’argomento). Voglio porre invece l’accento su una questione a mio avviso molto più ampia. Ovvero: quanto l’omosessualità, oggi come oggi, è ancora vista come un problema, come un tabù? Quanto – e in quanti – considerano davvero l’omosessualità una delle tante possibili manifestazioni del proprio essere, assolutamente paritaria alle altre, e non un qualcosa da “tollerare” (con tutti i discorsi annessi e connessi del tipo: “ognuno a casa sua è libero di fare quel che gli pare, basta che non infastidiscono gli altri”, “io ho un amico gay”, “che poi due lesbiche fanno molto meno impressione” e via dicendo)? Da quello che vedo e ho visto, da quel che leggo e ho letto, mi pare siano ancora molti (troppi) fermi, inchiodati al problema e al tabù. Ancora molti (troppi) fermi e inchiodati alla banale tolleranza del “ho anche io un amico gay”. Ancora molti (troppi) fermi e inchiodati alla “vergogna dell’essere gay”. Lungi dalla pretesa di possedere la verità, lungi dalla presunzione di avere ragione, è purtroppo quanto vedo nella mia piccola realtà di uomo e scrittore, purtroppo. Vorrei tanto essere smentito, ma temo che questo mio piccolo scorcio sia specchio molto fedele di scenari molto più ampi.

‪#‎resistenzeRiccardoLestini‬

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