Ha perso la politica

Mia figlia Antonia, che proprio oggi ha compiuto due mesi, si è appena addormentata.
È soprattutto a lei che penso nello scrivere queste righe di commento sui risultati del referendum, buttate giù, per una volta, nell’immediato, molto più che a caldo.
Ma non è tanto il suo futuro, l’Italia che troverà in sorte, ciò su cui si concentra il mio pensiero. Almeno non adesso.
Piuttosto mi chiedo cosa mai le avrei potuto raccontare, soprattutto cosa mai le avrei potuto spiegare, come avrei risposto alle sue domande se fosse stata un po’ più grande e avesse voluto sapere qualcosa del mondo dei grandi, nella fattispecie della politica e del referendum.
Probabilmente avrei dovuto spiegarle che c’è stato un vincitore netto e inequivocabile, che addirittura a vincere è stato quel NO votato dal babbo eppure, nonostante questo (e nonostante il babbo che vince un’elezione sia evento più raro della neve d’agosto), c’è in me più amarezza che gioia. Perché la soddisfazione e il sospiro di sollievo per aver impedito una pessima, catastrofica e pericolosa riforma della nostra Costituzione, lascia il posto allo sconcerto per una fetta immensa di popolazione (e partiti interi) che della riforma, dei suoi contenuti, del perché la si ritenesse pessima e pericolosa, se ne è completamente fregata, votando NO solo per votare contro il governo e il suo premier.
E questo, nonostante del governo e del premier non abbia mai condiviso un solo passo, mi sgomenta e non può non rendere il sapore del mio voto abbastanza amaro.
Ma soprattutto, più di ogni altra cosa, avrei dovuto spiegarle che, in ogni caso, al di là del Sì e del No, a perdere è stata la Politica, quella vera e con la “p” maiuscola, sconfitta prima ancora che si cominciasse a scrutinare la prima scheda.
Spiegarle che la Politica, quella vera, è fatta, prima ancora che di idee e ideologie, di confronto e rispetto. E che qui, in questa campagna elettorale, da mesi, la Politica vera non è mai esistita.
C’è stata una politica minima e impresentabile, che ha saputo solo insultare, da una parte e dall’altra:
“Analfabeti”, “Mentecatti”, “Idioti, dovete essere presi a calci in culo”, “Servi”… insulti da ambo le parti che ancora fino a stasera sono rimbalzati sui social verso la parte avversa, incessantemente, continuamente. Insulti che non sono stati l’eccezione, ma la regola. La triste regola di un popolo che non ha più niente da dire, sa soltanto urlare, solo partire dal presupposto che gli sta di fronte e la pensa diversamente sia un cretino da fare a pezzi.
La triste regola di un popolo fedelmente specchiato nella sua classe politica. Quella classe politica che nello stesso modo è stata incapace di confrontarsi, ma solo di urlarsi addosso “serial killer”, “ti ammazzo”, “accozzaglia”, “a casa”, quella classe politica capace solo di vedere complotti dappertutto.
Avrei dovuto dirle e spiegarle tutto questo.
E poi, se ancora mi fosse stata a sentire, avrei dovuto dirle anche – soprattutto – di non cedere a tutto questo. Non cedere alla facilità dell’insulto, del clic di mouse che cancella commenti indesiderati, del complottismo che nasconde spiegazioni scomode.
Questo avrei dovuto dirle.
Di essere, in questo mondo orrendamente semplice, meravigliosamente complicata.
Notte Antonia.

#resistenzeRiccardoLestini

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