La “stanza del buco”

La chiamano, in maniera brutale, “la stanza del buco”.

Si tratta di una struttura ospedaliera dove i tossicodipendenti possono iniettarsi e assumere droghe pesanti sotto la supervisione di personale medico e infermieristico. Attiva in Svizzera sin dal 1986, ne esistono a tutt’oggi 90, quasi tutte nell’Europa del Nord.

Domani, venerdì 18 novembre, aprirà anche in Francia, a Parigi, a due passi dalla Gare du Nord (una delle zone parigine più colpite dal fenomeno della tossicodipendenza), in via sperimentale (al momento per sei mesi) e potrà ospitare fino a 100 tossicodipendenti al giorno, tutti obbligatoriamente maggiorenni.

Aperta dalle 13 alle 20, non c’è alcuna registrazione o schedatura: in un sostanziale riserbo e anonimato, senza paura di essere perseguiti, i tossicodipendenti potranno all’interno della struttura (che si trova a sua volta dentro l’ospedale, ma con ingresso a parte e separato) consumare la droga che si sono procurati nell’apposita stanza, con materiale sterile e supervisionati da medici e infermieri.

Davanti a un’iniziativa del genere, come si può ben immaginare, l’opinione pubblica si è spaccata all’istante. In molti – quelli che appunto in modo sprezzante e denigratorio la chiamano “stanza del buco” – ne chiedono l’immediata chiusura: a loro dire, la presenza di una simile struttura, rende ancora più insicuro, pericoloso e degradato il quartiere; inoltre, viene letta come una sorta di via libera, un incentivo permissivista all’uso di droga.

Con tutto il rispetto per chi la pensa così, noi crediamo, viceversa, che una simile iniziativa sia un immenso passo in avanti, un progresso gigantesco. L’utilizzo di materiale sterile limita in maniera decisiva (e lo dicono i numeri dei luoghi dove è già attiva) il diffondersi e il contagio di AIDS ed epatite, nonché l’abbandono selvaggio di siringhe usate in strada o nei bagni pubblici. E la supervisione medica previene e impedisce l’overdose.

Soprattutto, per quanto sia sport molto diffuso spingerli il più possibile ai margini, considerarli “rifiuti” e “piaghe” sociali, pesi di cui liberarsi quanto prima e non avere alcuna pietà nei loro confronti, i tossicodipendenti – e sarebbe il caso ricordarlo ogni tanto – sono anzitutto esseri umani che soffrono. Strutture ospedaliere come queste non risolvono di una virgola il problema, ma almeno, tendendo una mano e offrendo protezione, riscoprono il senso più autentico della parola “umanità”.

E, di questi tempi, non è poco.

#storieRiccardoLestini

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