Crocefisso, presepe e vacanze di Natale

Polemiche su crocefissi in aula e dintorni sono ormai una specie di “must natalizio”, un appuntamento che si ripropone ogni dicembre, puntuale come la messa in onda di “Una poltrona per due”. Tuttavia quest’anno i toni paiono più accesi, più sentiti del solito. Saranno gli spettri dello scontro di civiltà che aleggiano inquietanti sul mondo, sarà questo 2015 dove sembra proprio di moda discorrere di scuola o sarà chissà che altro.
In ogni caso, influenzato e febbricitante (e quindi con scarse difese immunitarie sulle possibili conseguenze di quel che sto facendo), desidero inserirmi nella diatriba con alcune considerazioni più o meno inutili.
In ordine sparso e casuale, ovviamente.

La mia esperienza personale, anzitutto.
Sarà stata fortuna, forse un puro gioco di incastri del mio destino lavorativo, fatto sta che in undici anni di insegnamento – di cui quasi otto da precario – di scuole ne ho viste e vissute parecchie, e sinceramente devo dire che problemi attorno al crocefisso non ce ne sono mai stati. Nel senso che le polemiche le ho sempre sentite fuori dalla scuola, mai dentro. Almeno dentro le scuole dove ho lavorato a nessuno è mai importato nulla e non hai visto nessuno fare caso se nelle aule ci fosse o meno il crocefisso. E quando dico nessuno intendo proprio nessuno, ragazzi in primis. Solo la mia personale e limitatissima esperienza, eppure non ho mai potuto fare a meno di pensare come tutte queste polemiche siano sempre state, ieri come oggi, assolutamente pretestuose e strumentali, che con la realtà concreta, materiale e quotidiana della scuola abbiano davvero ben poco a che fare.
E in particolare – sempre restando nel campo del mio vissuto privato – a non far caso della presenza o meno del crocefisso, della presenza o meno di simboli natalizi, sono anche e soprattutto gli alunni musulmani. Mai sentito uno di loro o un componente della loro famiglia lamentarsi o dichiararsi offeso dall’esibizione di una qualsiasi iconografia cristiana. Soprattutto adesso, che da due anni insegno in un istituto dove la presenza di studenti musulmani è assai superiore alla media nazionale. Perciò ribadisco: ho la seria impressione come la polemica in merito non riguardi per niente la realtà dei fatti, sicuramente non la realtà “scolastica” dei fatti, ma sia pura benzina volutamente gettata sul fuoco da chi ha tutto l’interesse nell’inasprire una situazione tesa e complicata per ben altri motivi, e usa la scuola come mero pretesto per accendere micce ulteriori.

La crociata, a seguire.
La crociata che vorrebbe strumentalizzare la scuola per farne una sorta di “terrasanta” privata dei suoi vessilli sacri e barbaramente laicizzata (nonché, nelle previsioni dei crociati, a rischio di islamizzazione futura), parla continuamente di “cultura” e di “valori”, di “difesa della cultura” e di “valori culturali da difendere”.
Ma cosa si intende esattamente per cultura e per valori? Se cultura e valori sono – e lo sono, visto che questo significa nella sostanza – quel complesso di norme scritte e non, stratificate e sedimentate nei secoli fino a formare l’impalcatura del modus vivendi di un popolo, comprendente i suoi usi, i suoi costumi e i suoi ordinamenti costituzionali e legislativi, tutto questo discorso soffre di una gigantesca contraddizione.
Anzitutto perché si pone al centro del dibattito una istituzione, la scuola per l’appunto, che proprio la nostra “cultura” e i nostri “valori”, vogliono e pretendono “laica” e “non confessionale”. Ma soprattutto perché, sempre la nostra “cultura” e sempre i nostri “valori”, sono il frutto di una miriade di “sincretismi” che nel corso dei secoli hanno sempre mescolato (a volte involontariamente, altre volte nella specifica volontà di trovare un compromesso) religione e laicismo. E il Natale e le sue simbologie sono proprio, a mio avviso, uno dei risultati più ovvi, palesi e lampanti di questa mescolanza. Nel senso che è stata proprio la nostra cultura a “laicizzare” il Natale, a riempirlo e infarcirlo di simboli laici fino a renderlo una festa “ibrida”, di tutti, indipendentemente dal credo di ognuno.
L’albero, Babbo Natale, lo scambio dei regali, le cene di famiglia, le vacanze allungate: tutti simboli, usi e costumi che con il significato religioso della festività c’entrano poco, o meglio non c’entrano proprio niente. Tutti simboli, usi e costumi provenienti “dall’interno” della nostra cultura, e non certo costretti da chissà quale “funesta invasione esterna” di un’altra cultura.
Se quindi si volesse difendere il “valore cristiano” del Natale, anziché mettersi a cantare “Tu scendi dalle stelle” fuori dalle scuole in segno di protesta, anziché pretendere forzatamente la presenza di un crocefisso in ogni aula, si dovrebbe spogliarlo di tutto questo laicismo di cui lo abbiamo rivestito nei secoli.
Paradossalmente, per “difendere la nostra cultura” dovremmo proprio “rinunciare alla nostra cultura”.
Perciò, torno a ripetermi per la terza volta: mi sembrano, oltre che assurde proprio nella sostanza, polemiche assolutamente pretestuose. Non c’è nessun Natale “a rischio” e nessuna minaccia di sottrarre la sua simbologia all’Occidente.

Altri deliri sparsi, “pour en finir”.
La Lega Nord e il suo segretario, ultimamente (mi pare che fino a poco tempo fa fosse un partito orgogliosamente laico, che addirittura nelle celebrazioni di Pontida si rifacesse a rituali longobardi pagani richiamando il dio Odino e affini, ma capace che mi sbagli) folgorati sulla via di Damasco e improvvisamente ardenti del fuoco sacro del più puro e originario cristianesimo, lanciano la proposta di far lavorare durante le vacanze di Natale tutti i professori laici, atei o di altre confessioni religiose.
Da insegnante laico e ateo, ho alcune risposte in proposito.
Come detto prima, la coincidenza tra festività religiose e festività di Stato, è il frutto di un sincretismo secolare, di una secolare mescolanza di laicismo e religiosità per ragioni sia casuali sia opportunistiche (la necessità di razionalizzare il calendario e l’alternanza feriali e festivi, ad esempio), frutto cioè di quella “nostra cultura” che proprio voi vorreste difendere, ergo mi pare una proposta un po’ surreale. Ma, detto e ribadito questo, sono stato costretto ad accettare la Buona Scuola, quindi figuriamoci se non accetterei anche questa follia, più assurda ma meno dannosa della precedente.
Perciò sì, mi va bene: andrei volentieri a lavorare a Natale e giorni limitrofi. E insieme a me tutti gli insegnanti laici e tutti gli studenti altrettanto laici. Attenzione, non ho scritto “atei”, ho scritto “laici”, cioè semplicemente “non praticanti”. Perché a questo punto, festa sarebbe soltanto per i cattolici praticanti e di conseguenza: 1) le scuole sarebbero particolarmente affollate in quei giorni; 2) chiedo l’erogazione della tredicesima in un mese a mio piacimento, non per forza a dicembre per darmi modo di “fare i regali di Natale”; 3) bloccheremmo allegramente l’economia di un paese.
Ma non credo sia auspicabile da nessuno, nemmeno dalla Lega.
È, come dire, una questione di cultura.

‪#‎resistenzeRiccardoLestini‬