La politica che manca

Urliamo in continuazione di non poterne più della politica, ma la politica ci manca, altroché se ci manca.
Se fossimo, noi insegnanti, una categoria “politica” – non nel senso di “politicamente schierati” con questo o quel partito, ma nel senso originario e più nobile del termine, e cioè unitariamente rispondente a determinati principi nell’esercizio di un’attività – le cose probabilmente andrebbero diversamente.
Il nostro non essere “categoria politica” (e quindi il non essere nemmeno una categoria) è la nostra debolezza. L’unità di principi comuni, la compattezza unitaria nella volontà di cambiare dal di dentro la struttura pubblica – la scuola, anzi La Scuola – che abbiamo onere e onore di rappresentare, si frantuma continuamente in miriadi di piccole rivendicazioni personali che, anche quando legittime, si dissolvono nell’incapacità di porle all’interno di contesti più ampi, di abbracciare con lo sguardo grandi scenari, di analizzare la realtà dei fatti a trecentosessanta gradi.
E quelle fiammate improvvise, quei famelici scatti d’indignazione che ci colpo ci fanno ritrovare unità e compattezza, anziché metterli a frutto li disperdiamo nello spazio di un niente.
Penso, soprattutto, allo scorso anno. La battaglia contro quella follia chiamata Buona Scuola è stata perduta, ma quella lotta era comunque un capitale – umano, ideologico, “politico” per l’appunto – che non poteva e non doveva andare perduto. E invece, tutto pare perso e disperso, non tanto perché molti di noi si sono “accontentati” di regalie di varia natura elargite dalla riforma, quanto – lo ripeto ancora – per stanchezza e debolezza, per mancanza di politica.
Così ci arrabattiamo o nell’indifferenza più generale o nella fuga affannosa dietro corsi e ricorsi, dietro pezzettini minuscoli di 107 da correggere che, anche col raggiungimento del risultato, non ci darebbero certo quel che vorremmo e dovremmo avere: una scuola degna di essere chiamata tale.
E restiamo fermi e attoniti o addirittura ignari e indifferenti, davanti a uno scandalo (e si può chiamarlo semplicemente “scandalo”?) dei nostri colleghi precari ancora senza stipendio dal 1 settembre.
Se fossimo – lo ripeto di nuovo – una categoria politica, davanti a un episodio tanto grave, in nome della dignità della nostra professione e in nome della dignità stessa della scuola che rappresentiamo bloccheremmo ogni cosa, occuperemmo le strade, dimostreremmo in virtù di queste decine e decine di migliaia di mensilità mancate tutte le bugie governative e ministeriali che sono state fatte passare come rivoluzioni agli occhi dell’opinione pubblica. Se fossimo una categoria politica saremmo in primis noi docenti di ruolo a lanciare la battaglia dei colleghi precari.

Spesso nelle mie analisi sono ironico, altrettanto spesso sono feroce. Quasi sempre ferocemente ironico.
Oggi, saranno febbre e influenza, sono semplicemente sconfortato.

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