Lo stile di Bersani e il PD che non c’è più
Proprio sul governo, e su Matteo Renzi, le prime parole: “Bisogna evitare un effetto disillusione. Bisogna accorciare la forbice tra attese e realtà”.
Solito stile bersaniano, semplice, diretto, senza troppi fronzoli. Eppure, in quella semplicità, un oceano di sottotesti. Un attacco duro e preciso contro quella politica spettacolo e sensazionalista, fatta di annunci clamorosi sempre più simili a spot pubblicitari, che il PD avrebbe dovuto combattere e proporsi come alternativa, e che invece, con Renzi, ha finito per sposare in toto.
Per ribadire ulteriormente il concetto, precisa: “Ho un difetto, non so dire che gli asini volano. Riconosco in Renzi l’ottimismo. Però gli consiglio di mettere in equilibrio ottimismo e realtà, perché per far ripartire il Paese c’è bisogno di fiducia e la fiducia viene dalla verità”.
Ripetiamo: se Bersani fosse diventato Premier non avrebbe cambiato l’Italia, non avrebbe fatto miracoli. Ma non li avrebbe nemmeno annunciati, i miracoli. Sicuramente, non avrebbe sbandierato l’avvento dell’impossibile.
“Se fossi diventato Premier, avrei lasciato la guida del PD”, prosegue Bersani. Quando il segretario del partito è anche capo del governo “il dibattito viene inibito, perché si scaricherebbe sul governo, che non è del PD, ma del Paese”.
Demarcazione cruciale sulle differenze di stile e di approccio. Polemica contro una gestione del potere personalistica, verticistica e accentratrice. Il principio meravigliosamente democratico di un governo che appartiene solo al paese contro quello autoritario di un governo detenuto esclusivamente da chi comanda.
Ma la stoccata più forte a Renzi è questa: “io sono per l’umiltà, perché nessuno nasce imparato e bisogna ascoltare anche le idee dei soggetti sociali”.
Umiltà che diventa sinonimo di concertazione e contrario di presunzione.
Il noi al posto dell‘io.
Parole importanti, quelle di Bersani, ma con il sapore di un amaro anacronismo. Non nel senso di inattualità delle idee e delle proposte, ma in quello di inattuabilità, perché quel PD, socialdemocratico e pluralista, che forse è esistito solo nella testa di Bersani, non c’è più e non potrà mai più essere.
Oggi è altro. Oggi è il partito di Renzi. E non pare esserci punto di ritorno. Ed è su questa mutazione irreversibile che, credo, dovrebbero iniziare a interrogarsi seriamente i militanti.