L’Italia ai tempi di Tavecchio

Carlo Tavecchio è il nuovo presidente della FIGC, eletto con un’ampissima maggioranza e con un distacco incolmabile sull’altro candidato Demetrio Albertini.
A lui, a Tavecchio, il compito di rifondare l’immagine a pezzi dell’intero calcio italiano.
Ma non è di calcio nello specifico che vogliamo parlare, non dei motivi che impongono una simile opera rifondante.
Usiamo le votazioni in FIGC come spunto e parliamo di Italia in generale.
Nonostante la percentuale bulgara con cui è stato eletto, nonostante la sua vittoria fosse molto più che annunciata e scontata, l’investitura di Tavecchio è stata accompagnata da uno sciame infinito di polemiche e indignazioni.
Soprattutto, sarà seguita da polemiche e indignazioni d’ogni ordine e grado. Oggi e nei giorni a venire. Motivo: le frasi spudoratamente razziste e maschiliste (o, se preferite, le uscite infelici come le ha minimizzate certa stampa) pronunciate da Tavecchio in questi ultimi giorni.
Non proprio l’ideale, per una persona cui in primis si chiede di restituire un’immagine credibile e pulita a uno sport diventato vergognoso e improponibile sotto ogni aspetto.
Eppure, nonostante tutto, io credo fermamente che tutto questo vespaio di polemiche sia sostanzialmente inutile, oltreché completamente sbagliato. Così come credo, altrettanto fermamente, che Carlo Tavecchio sia il miglior rappresentante possibile per l’Italia di oggi, calcistica e non.
Cerchiamo di capire perché. In quattro mosse:
1.Il vecchio e il nuovo
Partiamo dalla stretta questione in proposito, vale a dire dal calcio.
Albertini, lo sconfitto, rappresentava il nuovo. È giovane, pulito, non ha protezioni forti, ha idee radicali e innovative e, soprattutto, non è uomo “di sistema”, ma è persona “di settore”: ex calciatore, il settore lo conosce dall’interno, da puro addetto ai lavori. Non a caso, ha avuto l’appoggio di chi il calcio lo fa, vale a dire allenatori, calciatori e una discreta fazione di arbitri.
Credo basti, per calciofili e non, questo ritratto tracciato sommariamente per rendere lampante l’assoluta e totale inattitudine di Albertini a ricoprire un simile ruolo.
Il nuovo, quel nuovo reale e non fittizio, quello che vuole realmente proporre qualcosa di diverso, in Italia non lo vuole nessuno, non lo vuole il potere e non lo vuole nemmeno la gente.
In un paese dove meritocrazia e competenza sono costantemente e quotidianamente prese a calci in faccia, derise e vilipese, dai piani alti fino all’ultima strada, per un uomo come Albertini non c’è spazio.
In Italia la scuola non la fanno i professori, la sanità non è gestita dai medici, ma dalle stanze dei ministeri, dalle scartoffie dei funzionari, dagli interessi incrociati, dalle protezioni che contano. Così allora nemmeno il calcio lo fanno, né devono farlo, i calciatori. C’è il rischio poi che le cose cambino davvero, che magari si dia veramente meno potere agli sponsor, ai diritti televisivi. E questo non deve accadere.
Se avesse vinto, Albertini sarebbe durato al massimo tre giorni. Invece c’è bisogno di stabilità, c’è bisogno di cambiare tutto affinché non cambi nulla, c’è bisogno dell’amato e rassicurante vecchio. C’è bisogno dell’uomo estraneo al pianeta calcio ma “di sistema”, spalleggiato dai presidenti delle società e caldeggiato dalle stanze della politica, c’è bisogno di chi dia l’illusione di fare mantenendo lo status quo.
C’è bisogno di Tavecchio, in definitiva.
2.La parola e l’urlo
Albertini è educato, garbato, elegante. Non alza la voce, non urla, non insulta, non cede alle provocazioni più becere, non getta la discussione in rissa. Non è nemmeno presenzialista, non è logorroico e non sgomita per prendersi la luce dei riflettori.
In sostanza, nell’Italia di oggi, Albertini è antipatico.
Un paese volgare, rissoso per puro gusto di caciara, che scambia l’urlo e l’insulto per dimostrazione di forza e autorevolezza, il saper menare le mani per sicurezza e affidabilità e la furbizia meschina per intelligenza, non può che percepire un uomo pacato come un incapace senza attributi o, nella migliore delle ipotesi, come un alieno pericoloso.
Quindi c’è bisogno di chi sa urlare, insultare e menare forte all’occorrenza. Di chi sa alzare polvere e scatenare zuffe coatte. Di chi calpesta gli altri per sopravanzare. Di chi sa garantirsi protezioni importanti a suon di favori d’ogni sorta. Di chi twitta compulsivamente. Di chi parla ogni istante, non importa quanto a sproposito.
C’è bisogno di Tavecchio, in definitiva.
3.Razzismo e maschilismo
Albertini è antipatico anche perché non dice cazzate.
In Italia la simpatia che susciti è direttamente proporzionale al numero di cazzate che escono dalla tua bocca, alle figure di merda che riesci a fare in mondovisione, alle gaffe internazionali che riesci a produrre. Se non sei in grado di fare tutto questo, il popolo non si riconosce in te e ti fa la guerra. Una legge sociologica elementare, che però il partito di Albertini non ha capito, mentre quello di Tavecchio sì.
Tavecchio ha definito i calciatori africani dei mangiatori di banane, ha sostenuto l’inferiorità del genere femminile. E lo ha fatto nei giorni immediatamente precedenti alla sua elezione, in piena campagna elettorale. Noi possiamo scandalizzarci e insorgere quanto vogliamo, ma è bene capire che simili sparate, questo razzismo e questo maschilismo esibiti e soprattutto minimizzati con tanta disinvoltura, hanno finito per rafforzare la sua candidatura.
In fondo, che avrà detto mai? Non siamo esagerati, suvvia. Cazzatine, scherzucci innocenti, battute bonarie e cameratesche che si fanno pure al bar, perché non può farle pure lui? Mica ho ammazzato Kennedy, si è giustificato Tavecchio.
In Italia abbiamo un ministro dell’interno che ancora usa l’appellativo vu cumpra’. Quale miglior presidente per la FIGC di uno che parla di negri mangiabanane?
Per vent’anni abbiamo osannato e incensato un Premier che dava della culona alla Merkel, che ribadiva il suo appeal in Francia in virtù delle turiste francesi stese in gioventù, che faceva le corna, che dava del kapò a Schultz, che parlava del confino fascista come di una vacanza.
Quale miglior presidente FIGC, per noi italiani, di Carlo Tavecchio?
4.Polemiche da bar
E le polemiche, queste polemiche, a cosa servono? A ribadire l’occasione persa nel non eleggere Albertini? No, neanche per sogno. Sono solo polemiche da bar, buone a tenerci impegnati, a tenere viva la mischia rissosa, a tenere in piedi un teatrino assurdo di cui, inconsciamente, facciamo parte.
Domani, dopodomani al massimo, di Albertini e del suo programma ce ne saremo dimenticati.
Penseremo al toto allenatore, a chi siederà sulla panchina della nazionale, alla sua partita d’esordio, all’inizio del campionato, alla pay tv in esclusiva.
Poi succederà qualcosa.
Un arbitro non concederà un rigore netto e grideremo al campionato falsato. Scoppierà qualche scandalo e batteremo il pugno contro un sistema malato e corrotto, contro un assurdo giro di milioni e miliardi che non è più ammissibile e deve finire. Diremo che ci sentiamo presi per il culo, invocheremo la zappa e la vanga per tutti gli appartenenti al pianeta calcio.
Poi passerà qualche ora. E noi ci calmeremo, prenderemo il telefono e rinnoveremo il nostro abbonamento Sky, pacchetto calcio completo, per l’intera stagione. In onore dell’Italia. E in onore di Carlo Tavecchio, il miglior presidente possibile.

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