Firenze liberata e gli anniversari che contano

oggi non è una giornata qualsiasi, è l’11 agosto 2014, vale a dire il settantesimo anniversario della Liberazione di Firenze dall’occupazione nazifascista.
A noi anniversari e ricorrenze non è che piacciano molto. C’è un che di ufficialità e ingessatura che li rende pesanti, rituali, vuoti, che conferisce all’oggetto da commerare un senso di immobilità, come certi pezzi da museo, finestre su un passato polveroso senza più anima.
Eppure ci sono anniversari che contano, che è necessario ricordare. Senza troppe fanfare e senza troppe cerimonie, ma semplicemente per la loro importanza nell’attualità che viviamo.
La Liberazione, è uno di questi.
Conta, eccome, ricordare quell’11 agosto 1944, quando La Martinella suonata a Palazzo Vecchio alle 6,45 del mattino diede il segnale per l’inizio dell’insurrezione generale, e i partigiani arroccati oltrarno si riversarono dall’altra parte della città occupando Palazzo Medici Riccardi e instaurando il governo cittadino.
Per capire quel senso di urgenza e di attualità che c’è nel valore del ricordo della Liberazione, la cosa più importante e sensata da fare al momento ci pare quella di consigliarvi di vedere uno splendido video che vi linkiamo direttamente qui sotto.
Dura appena dieci minuti, ma in questi dieci minuti spiega tutto molto meglio di qualunque discorso o conferenza o commemorazione in proposito.
Si intitola Ci chiamavano ribelli, e fu girato per puro caso da un trio di documentaristi fiorentini (Federico Micali, Stefano Lorenzi e Teresa Paoli). Era il gennaio del 2003, Social Forum di Firenze appena terminato, e i tre autori stavano girando Note dal basso, un documentario sulle bande musicali di strada. Durante una pausa delle riprese, lungarno, si avvicinò un anziano signore che iniziò a parlare con i ragazzi. Fortuna volle che l’operatore non spense la videocamera, facendo così nascere questo video meraviglioso.
Guardatelo.
L’uomo che parla si chiama Silvano Sarti, nome di battaglia “Pillo”, della Brigata Oltrarno poi – dal 9 agosto 1944 – ribattezzata Brigata Potente, attualmente presidente dell’ANPI provinciale di Firenze.
Dice subito il Sarti, nei primi minuti di video: se vincevano loro voi ‘un vù c’eri.
Loro, cioè i fascisti, i repubblichini, gli occupanti nazisti. Voi, cioè noi, donne e uomini nati e cresciuti in un paese libero e democratico, proprio grazie al sacrificio di chi, nascendo e crescendo sotto una dittatura, libertà e democrazia non l’aveva mai conosciute.
Il revisionismo, di moda da sempre, ma rafforzato e rinvigorito negli ultimi vent’anni da un suicida disinteresse istituzionale e non per la nostra storia più recente, nonché da colossali operazioni commerciali tipo i libri di Gianpaolo Pansa (Il sangue dei vinti e via dicendo), vorrebbe mettere sullo stesso piano fascisti e antifascisti, repubblichini e partigiani, come attori contrapposti del medesimo dramma. Due parti che, pur con posizioni ideologiche contrapposte, si batterono entrambe per la patria.
Ma leggere la storia d’Italia del biennio ’43-’45 in questo senso, è un colossale abominio.
Come si può soltanto pensare di poter definire patrioti i repubblichini, persone che scelsero di appoggiare un occupante straniero, di appoggiare non tanto Mussolini, quanto un governo fantoccio in tutto e per tutto rispondente ai diktat hitleriani sul modello di quello francese di Vichy?
Come si può soltanto pensare di poter mettere sullo stesso piano chi scelse di stare dalla parte della libertà e della democrazia e chi scelse di stare dalla parte della violenza e dell’intolleranza?
Per i morti, chiunque essi siano, bisogna certo avere pietà. Ma tra pietà e riabilitazione c’è una differenza abissale.
C’è bisogno, semmai, di svincolare la storia partigiana della Liberazione dai sentieri a volte troppo stretti dell’ideologia e riconoscerle, finalmente, un valore assoluto. Perché libertà, democrazia, giustizia, ugugaglianza, cooperazione, sono valori assoluti, di tutti e per tutti. Valori che non stavano certo da entrambe le parti.
Ma ricordare la Resistenza non significa soltanto conservare verità e giustizia storica.
Significa anche (soprattutto?) interrogarsi sul nostro presente. Un presente schizofrenico e grigio, dove l’importanza delle persone si misura in relazione al peso del proprio portafoglio. Un presente dove conta cos’hai, non cosa sei. “Il valore di noi partigiani gli era di non avenne nemmen uno, di soldi in tasca”, dice il Sarti a metà video, una frase che forse andrebbe scolpita a caratteri d’oro nelle nostre coscienze.
Nella parte finale del video, commuove e fa rabbia il fervore con cui Silvano Sarti parla dell’intoccabilità della nostra Costituzione, scritta con il sangue.
Allora oggi, 11 agosto 2014, settantesimo anniversario della Liberazione di Firenze, interoghiamoci su questo, interroghiamoci su quel sangue, su quel sacrificio.
Interroghiamoci sulla nostra Costituzione sempre più presa letteralmente presa a calci dalle riforme del nostro governo.
E interroghiamoci pure sul silenzio. Su quella necessità di esserci e di lottare per cambiare le cose di cui si parla nel video e che oggi sembra non esserci più. Su quei tre milioni di persone che non sono più in piazza.
Chiediamoci per cosa, all’alba di settant’anni fa, da Palazzo Vecchio fu suonata La Martinella.
Facciamocele per davvero, queste domande.
Perché chi non ha memoria, non ha nessun futuro.

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