Se m’innamoro vi chiedo perdono

L’artista di cui parliamo oggi è l’immenso Jeff Buckley, una sorta di “Achille” della storia della musica.
Il grande Buckley infatti ci ha potuto regalare un solo, splendido album, Grace, datato 1994, quando l’allora trentaduenne Jeff si rivelò al mondo intero in tutta la sua genialità.
Poi, appena tre anni dopo, dopo un leggendario tour mondiale, proprio durante le registrazioni del secondo album, la morte, tragicamente prematura e tragicamente banale. Nessun mistero, nessun estremismo in stile storia del rock, ma un semplice, assurdo, inconcepibile annegamento.

Al di là di una vicenda privata così triste, resta un album, Grace appunto, scandalosamente bello, struggente, potentissimo, dove il cantante/chitarrista ci entra dentro con uno stile che, pur riprendendo influenze importantissime e riconoscibilissime (Van Morrison, Bob Dylan, Leonard Cohen su tutti), è personalissimo, inimitabile e insuperabile.
Un album delicato e prorompente al tempo stesso, dove le tematiche dell’amore e della purezza fanno da padrone assolute. Il disco è un percorso verso una salvezza, una catarsi dell’anima, una pace interiore per un animo continuamente scisso e tormentato, dove in ogni verso la vita sentimentale di Buckley (e in particolare la sua intensa e burrascosa storia d’amore con Rebecca Moore) riecheggia senza guardarsi all’ombelico, ma facendosi tematica universale.

Un percorso verso la redenzione dell’anima che tocca il suo picco con il pezzo (giustamente) più celebre: Hallelujah.
Un pezzo che però non è di Buckley, ma di Leonard Cohen e risalente al 1984. Tuttavia, al di là della differente interpretazione performativa, è proprio dal punto di vista esistenziale che le due versioni sono così diverse da renderle due pezzi distinti e separati.
Assolutamente “biblica” quella di Cohen, struggente e sentimentale quella di Buckley.

Buckley ha cantato e interpretato questo pezzo non come un hallelujah per una fede, un dio, un idolo, ma come un inno all’amore, al sesso, alla vita terrena. Un hallelujah dell’orgasmo, come lui stesso ebbe a definirla.

Perché l’amore è anche dolore, nella gioia, è una felicità così potente che stravolge e fa soffrire. E allora sì, occorre chiedere perdono quando ci si innamora, occorre chiedere salvezza.
Occorre cantare un hallelujah.

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