Megavideo e il diritto d’autore

La chiusura improvvisa del più grande archivio telematico di film e video presente sul web è stato senza dubbio uno shock collettivo di dimensioni immense. Inevitabile, e ovviamente atteso e senz’altro scontato, il coro di polemiche da parte degli internauti che da ogni parte del globo, tramite blog e social network, hanno espresso dissenso e indignazione.
Eppure, nonostante appaia altrettanto scontato – da parte mia – l’appoggio alle proteste contro questo provvedimento, ci sono cose – di una certa imprescindibile rilevanza, a mio avviso – che non mi tornano e mi stonano.
A costo di apparire reazionario, vediamo quali sono. Schematizziamo:
1. Ogni protesta ha un obiettivo. In questo caso, qual è l’obiettivo? Contro chi e contro cosa si sta polemizzando? Non mi è del tutto chiaro. Si sta protestando contro la crescente limitazione della libertà d’espressione on line (vedi Sopa e, ad esempio, relativa protesta di Wikipedia)? In questo caso il mio assenso al dissenso è assoluto e incondizionato. La Sopa è una legge a dir poco suicida e clamorosamente censoria, che va a calpestare le più elementari libertà e i più elementari diritti d’espressione. Oppure si sta polemizzando contro la crescente riduzione di scaricare musica e video gratuitamente e contro la crescente riduzione di vedere in streaming qualsiasi film o video si desideri? Visto che temo, almeno da quanto ho letto, che la maggior parte dello sconcerto e dell’indignazione derivino da questa seconda ipotesi, esprimo il mio disaccordo totale con le ragioni della protesta. E nei punti successivi spiegherò perché.
2. In teoria Megavideo e Megaupload sarebbero siti a pagamento. Nel senso che gratuitamente l’utenza ha diritto ha un tot di minuti in streaming a disposizione ogni ventiquattro ore. Se si vuole usufruire del servizio completo, occorre sottoscrivere un abbonamento, che può essere mensile, semestrale o annuale. Ma non prendiamoci in giro. Nessuno sottoscrive quegli abbonamenti. Gli stessi siti che reindirizzano ai link di Megavideo contengono le istruzioni per aggirare il limite di minuti gratuiti. Tuttavia, almeno in linea del tutto teorica, l’opzione abbonamento renderebbe gli stessi siti assolutamente legali e al riparo da qualsiasi sanzione. Ma è così solo in apparenza. La realtà dei fatti è ben diversa. L’avvento della banda larga, della connessione veloce e via dicendo, ha colto tutti impreparati. Sono spuntati come funghi siti del genere (Megaupload ne è solo l’esempio più eclatante e mastodontico), e quasi tutti si sono insinuati in una sorta di ‘zona grigia’ assolutamente non regolamentata. In sostanza: non esistono leggi in materia, non esiste uno straccio di regolamentazione chiara. E questo è un problema. Immenso e dalle conseguenze catastrofiche. Prima di tutto, questo ha consentito (inutile far finta di niente) una proliferazione senza precedenti della pirateria: molti film sono on line in contemporanea alla loro uscita in sala, altri addirittura prima. E non servono a nulla gli interventi di bloccaggio. I file sono già stati scaricati, il materiale pirata già circola in maniera indiscriminata e selvaggia. E il problema è ugualmente enorme per quei film che vanno on line subito dopo il ritiro delle pellicole dalle sale. Così facendo si paralizza tutto il mercato dell’home video e molti contratti per il circuito delle pellicole in televisione. E forse non tutti lo sanno, ma home video e diritti televisivi sono l’unica via di salvezza per moltissimi film, specie i cosiddetti ‘indipendenti’, quelli cioè che non godono del supporto di poderose campagne pubblicitarie messe in moto dalla majors.
3. Una situazione del genere, chi va a danneggiare? Le produzioni, certo. Ma soprattutto va a danneggiare gli artisti. È un paradosso, ma un sistema che nella sostanza va a reclamare maggior circuitazione libera di idee e prodotti artistici, in realtà finisce per ridurre e mortificare proprio la libertà creativa dell’artista. Liberiamoci dagli idealismi facili: quella dell’artista è un lavoro, una professione. E come tale esige un compenso. Tuttavia è una professione, nonostante esista dalla notte dei tempi, anomala e sfuggente, soggetta a equivoci d’ogni sorta. Il diritto d’autore, per quanto materia controversa e contestabile, è, al momento, l’unico modo concreto di garantire la sopravvivenza della professione. Lasciate stare i divi hollywoodiani, le rockstar e altri pochi privilegiati. Come credete che sopravviva il 90% degli artisti se non con il diritto d’autore? Se con una percentuale calcolata in base ai biglietti e alle copie vendute? In Italia la SIAE ha fondato un monopolio granitico e grottesco, estendendo il diritto d’autore ai parenti, ai nipoti acquisiti e forse anche agli amici intimi dell’artista defunto. Ovviamente per lucrarci sopra. Ma fermo restando che tali privilegi assurdi andrebbero eliminati seduta stante, il diritto d’autore, il diritto all’integrità artistica e morale per gli artisti viventi e operanti, vogliamo conservarlo o no?
4. Se sì, allora rivediamo un po’ i contenuti e le motivazioni di questa polemica. Fermiamoci a riflettere ed elaboriamo un sistema nuovo, completamente nuovo, che tenga conto delle necessità di tutti, che si adatti alle nuove tecnologie, che garantisca una fruizione libera e veloce delle idee ma che al tempo stesso preservi la dignità del lavoro dell’artista. E che, soprattutto, sappia sgombrare il campo da ambiguità e interpretazioni ambivalenti. Se no, rassegniamoci. Un artista che non lavora equivale a dire assenza di opere d’arte, assenza di pluralità di voci e di stili. Vuol dire un mondo dove i soldi che saranno messi a disposizione per la realizzazione di film o di altre opere d’arte, andranno tutti nelle casse di produzioni colossali e commerciali, riducendo e annientando per sempre lo spazio – già oggi irrisorio – per le voci indipendenti e fuori dal coro.

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