Quando bellezza era sinonimo di fascino

Zigzagando come al solito senza troppo criterio logico lungo i lampi di tempo del secolo breve, oggi ci va di portarvi negli anni quaranta, e in particolare ci va di parlare di una delle più grandi attrici di tutti i tempi e, ahimè, recentemente scomparsa: la signora Betty Jane Perske, meglio nota al pubblico di tutto il mondo con il nome di Lauren Bacall.

Che tempi erano quelli là? Che cinematografo si faceva? Come lo si faceva?

Nella notte dei tempi la pittura, grazie ai ritrattisti, aveva fatto una scoperta meravigliosa, e cioè che il volto umano è come un paesaggio. Ha colori, sentieri, sfumature, stagioni, improvvise e repentine mutevolezze.

E se il ritratto aveva il potere di eternarne l’attimo, l’istante, il cinematografo, grazie al primo piano, seppe materializzare la magia di restituirne i movimenti, i passaggi di tempo brevi e impercettibili.

A quel tempo, anni quaranta, il cinematografo – nonostante fosse arte più che giovane, con l’utilizzo del primo piano aveva già fatto meraviglie.

Bunuel, tanto per dire, aveva già scioccato il mondo intero mostrandoci un occhio brutalmente reciso in Un chien andalou. Dreyer, sempre tanto per dire, era andato ben oltre realizzando uno splendido film interamente fatto di primi piani: La passione di Giovanna d’Arco.

E come dimenticare il sorriso che sorge come l’aurora in primavera sul volto di Chaplin nell’inquadratura finale di Luci della città?

Per gli attori fu mica facile.

Venivano tutti dal teatro e i codici della recitazione cinematografica erano tutti da inventare. A teatro un qualcosa di simile al primo piano non esiste: come essere credibili sbattendo addosso al pubblico il proprio volto in dimensione cinemascope, come riportare tutti i micro passaggi di quel paesaggio umano senza essere eccessivi, caricati, innaturali?

Ci voleva bellezza, anzitutto. E non certo la bellezza che intendiamo oggi, che oggi la bellezza è un qualcosa che si misura in taglie e centimetri, 40, 42, 44, 90-60-90, corpi vuoti e immobili da esibire, che finiscono sullo schermo cinematografico dopo essere passati dalla televisione e dai calendari.

Niente di tutto questo. All’epoca la bellezza si chiamava fascino.

Il fascino del magnetismo, dell’intensità, di esprimere emozioni gigantesche in uno sguardo e in movimenti impercettibili e restituirle, quelle emozioni, violente e implacabili. Il fascino di catturare e far girare la testa e attorcigliare lo stomaco.

Un fascino che, nel caso degli attori, non poteva esistere senza talento.

Lauren Bacall, la splendida e grandiosa Lauren Bacall, era una di quelle attrici in possesso di

tutte queste doti.

Al punto che nel 1944, appena diciannovenne, fu scelta per il film Acque del sud, tratto dal romanzo di Sua Maestà Hemingway Avere e non avere. E la scelsero non come comprimaria. La giovane Bacall fu immediatamente scaraventata come coprotagonista al fianco di un attore che già all’epoca era molto più che un mostro sacro: l’immenso Humphrey Bogart, uno che a fascino e talento non era davvero secondo a nessuno.

Basta sentirla e guardarla cantare nelle sequenze di questo film per capire cosa sia il fascino dell’attore.

Il sorriso, il breve muoversi delle pupille, la vaga direzione degli sguardi. Tutto e niente. Un tutto e niente che basta a farci innamorare. Il talento di trascinare noi spettatori all’interno del film, visto che ci innamoriamo e restiamo incantati nello stesso identico modo dei personaggi del bar. E di Bogart.

O come nella celebre scena, medesimo film, del bacio tra i due grandi attori. Una schermaglia di sguardi, un fuoco incrociato di passioni in crescendo, una sfida insostenibile di fascini irresistibili, volti che non vanno semplicemente a commentare i dialoghi, ma vi si sovrappongono, fanno da contrappunto, materializzano il non detto.

Questo film proiettò la Bacall nell’olimpo dorato della Hollywood del tempo.

Interpretò molti altri film, tra la fine degli anni quaranta e per tutti gli anni cinquanta, diverse altre volte fu ancora al fianco di Bogart, che fu anche suo compagno nella vita (suo unico vero amore, come lei stessa ebbe a dire più volte).

Tra tutti i titoli, si vuole ricordare soprattutto l’esilarante commedia Come sposare un milionario, dove la Bacall recitò accanto a due altre meraviglie di fascino e splendore come Betty Grable e Marilyn Monroe.

Poi via via, dagli anni sessanta in poi, le apparizioni della Bacall sul grande schermo si fecero sempre più sporadiche fino a diventare eventi straordinari (come il ruolo nel film della Streisand L’amore ha due facce, del 1996, che gli valse il Golden Globe e la nomination all’oscar come Miglior Attrice Non Protagonista).

E ci può suonare strano, questo progressivo diradarsi dallo schermo, ma per quella gente lì, per gli attori veri, il presenzialismo a tutti i costi non è mai andato di moda.

Noi vi si lascia così, in silenzio e in punta di piedi, che quando si parla di gente come la Bacall è bene parlare poco e guardare tanto. Perciò riscopritela, tornate a guardare quei film…

Guardate quegli occhi, quello sguardo, quel fascino. E capirete cosa vuol dire essere grandi attori…

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *