Fottuto Natale vs Tette, Culi & Co.

Non sono per niente esperto di INSTAGRAM.
Due anni fa o poco più, più o meno a ridosso dell’uscita del mio romanzo IL PICCOLO PRINCIPE E’ MORTO, più di una persona mi consigliò di iscrivermi per sfruttarne al massimo le potenzialità pubblicitarie. Così, ho fatto, usandolo in questi due anni esclusivamente per promuovere i miei libri e gli eventi a essi collegati.
Eppure oggi, due anni dopo, ancora non mi ci trovo bene, non ne colgo a pieno i meccanismi, non riesce a piacermi e non riesco a navigarci per più di dieci minuti, nemmeno tra le migliaia di profili che pure mi interessano e tra le migliaia di blog letterari che, oltre a interessarmi, mi servono anche.
E non ho ancora capito se è il poco spazio riservato alla parola scritta a mettermi a disagio oppure se è proprio una questione generazionale. Ma tant’è.
Ad ogni modo, al di là dei milioni di profili standard, del normale esibizionismo che sottende alla stessa esistenza dei social (da cui nessuno di noi è immune), quello che nella mia inesperienza ho potuto vedere in maniera lampante è che INSTAGRAM è letteralmente invaso da migliaia e migliaia di culi, tette, pacchi e compagnia…
E no, non sto parlando delle solite foto dove sul tramonto tirrenico si staglia un culo geometrico con citazione di Pessoa, delle tartarughe esibite e via discorrendo. Sto parlando di un numero impressionante di profili di sconosciute e sconosciuti che pubblicano con regolarità da blogger fotografie tutt’altro che rubate e casuali, ma autentici servizi studiati a tavolino in cui compaiono in pose a dir poco esplicite, la cui unica differenza con la pornografia è la presenza di centimetri di vestiti, un reggiseno velato, un tanga, un paio di boxer trasparenti.
Ora il mio non è, né vuole essere, un discorso moralista o moralizzatore. Se una maggiorata vuole pubblicare dieci foto in cui si struscia una banana o una carota tra i seni, lo faccia pure, se un palestrato ha come obiettivo far intravedere la sua erezione agli iscritti del suo sito, idem.
Non ne sono né turbato, né sconvolto. Anzi, c’è un erotismo meraviglioso, artistico, intenso e sanguigno che trova tutto il mio apprezzamento (anche se non è il caso dei profili IG citati).
Quello che mi lascia perplesso è che su questi profili non vi sia il minimo intervento. Nonostante tutti i discorsi che si fanno sulla necessità di controllare i social, nonostante i paletti teoricamente siano sempre più stringenti e limitanti, simili profili, che il più delle volte sono addirittura sponsorizzati, non subiscono la benché minima censura dall’amministrazione del social in questione.
Mentre puntualmente, ANCORA UNA VOLTA, come già successo su Facebook due settimane fa, la censura ha bloccato i post pubblicitari del mio ultimo libro OGNI FOTTUTO NATALE.
Il motivo è sempre quello: la presenza del termine “fottuto”, ritenuto volgare, inappropriato, violento e offensivo.
Mi si dirà “alla base di tutto c’è un algoritmo”.
Lo so da solo, un algoritmo che non vede le sfumature ma blocca o lascia passare in automatico, secondo le direttive impostate in automatico nel cervello elettronico. Per cui basta un reggiseno a ingannarlo, una striscia di vestito che copre appena i capezzoli non facendogli percepire la foto come nudo. E allo stesso modo basta la parola “fottuto”, che lui ha registrato come offensiva, per bloccare tutto senza chiedersi il modo e il contesto in cui viene usata.
Lo so da solo, ma il fatto è che l’algoritmo non si è generato da solo. E’ stato creato da esseri umani che lo hanno volutamente impostato così, in un modo per cui andasse sempre e comunque a colpire i contenuti lasciando via libera alle più truci superficialità.