Dieci seghe

Oggi vi offro un caffè al bar, di quelli presi in piedi, quasi di corsa, tra gomiti di sconosciuti senza faccia ma dal respiro familiare, adagiati su sgabelli scomodi dove si sono sedute storie che possiamo solo immaginare.
Un caffè di quelli rumorosi, tra l’accavallarsi di voci e lo sbatacchiare di piatti e tazzine, nell’assordante via vai del mondo dove, tra selve di gambe e frusci di sciarpe a volte incroci due occhi che cambiano il sapore di certe mattine stinte d’inverno.
Un caffè di quelli che bruciano, tazzine incandescenti a ustionarti le dita e miscela rovente a incendiarti la gola. Un caffè che nessuno ha preparato per te, identico a mille altri, emerso da una macchina laccata che sbuffa come un geyser, e odora di solitudine e ricordi avvelenati. Un caffè rabbioso, tinto di pensieri rapidi, smanioso di riscatto e vita, che sa di metropoli e catrame, minigonne di periferia e pensieri sconci, bianchi frizzanti e lampioni gialli, autobus e bambini urlanti.
Un caffè che ha lo stesso respiro rotto, la stessa punteggiatura franta, la medesima sporcizia e l’identica impossibile poesia di Charles Bukowski, l’unico e solo, al mondo, oggi e ieri e domani, a poter scrivere vomitando monnezza e renderla liscia come raso. L’unico a poter scrivere un racconto e intitolarlo “Dieci seghe” e dietro quel titolo versare oceani di poesia inimmaginabile, raccontare di questa notte passata dall’amico Sanchez, il pittore, il poeta, il genio, a chiacchierare di letteratura e arte e masturbazione e poi all’alba svegliarsi e trovare l’amico abbracciato alla sua donna e senitre una morsa al cuore e…
Un caffè che vi offro per accompagnare la lettura di questa favola intrisa di veleno e amore.
E dirvi buongiorno, buon caffè, buona lettura. Il sole è proprio lì, dietro la sporcizia della nostra anima.

DIECI SEGHE (finale)

Vado fuori prosciugato e addolorato e emozionato e disgustato e triste e Bukowski, vecchio, sole acceso dalle stelle, dio mio, in cerca dell’ultimo angolo, l’ultimo botto di mezzanotte, freddo Sig. C., grande H, Mary Mary, lindo come una coccinella su una parete, il calore di dicembre una ragnatela che mi attraversa la spina dorsale eterna, Pietà come il morto ragazzo di Kerouac disteso attraverso i binari della ferrovia messicana nel luglio eterno delle tombe sprofondate, li lascio lì nel loro coro d’oro, il genio e la sua innamorata, tutti e due migliori di me, ma il Significato, lui in persona, cagato, conciato, insabbiato, fino a che forse non butterò giù queste righe da solo, tralasciando qualche dettaglio

e m’infilo nella mia macchina d’11 anni
e adesso me ne vado
mi trovi qui
a scrivere per voi una piccola storia illegale di
amore
fuori da me
ma
forse a voi comprensibile

sinceramente vostri Sanchez&Bukowski

ps: per questa volta il Calore ha mancato il colpo. Non immagazzinate più di quanto possiate ingoiare: amore calore o odio che siano.

#uncaffèconpessoa
#storieRiccardoLestini

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