Passignano, la torta, la vita, la morte… (diario confuso di una Pasqua in quarantena)

Passignano, il lago Trasimeno.
Ovvero dove sono nato e cresciuto. E dove, benché me ne sia andato da ormai venticinque anni (che è più di metà della mia vita, che è corta, ma non importa), ho ancora i miei genitori, gli affetti, gli amici più cari, quelli, per l’appunto, di una vita.
Dove torno ogni volta che posso, anche quando, come in questi ultimi anni, posso molto poco.
Dove soprattutto, da venticinque anni, torno sempre per le feste. Pasqua e Natale, ovviamente.
E siccome in fondo sono un conservatore travestito da rivoluzionario, di conseguenza fedelissimo all’adagio “Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi”, a dirla tutta più volte a Pasqua ho marcato visita, mentre a Natale mai (solo una volta, ma ero a Parigi, e Parigi, si sa, val bene una messa).
Ma tutte le volte che ho passato la Pasqua lontano dall’amato paesello, ho sempre fatto in modo di avere con me torta di Pasqua e capocollo.
Che no, non esiste niente, letteralmente niente come quella bomba di torta al formaggio con il capocollo. Niente che all’istante mi faccia sprofondare in una dolceamara “madeleine” di ricordi, malinconica, tragica, splendida, irresistibile.
Basta il più minuscolo dei bocconcini, basta anche solo annusarla e subito rivedo e rivivo tutto. In un attimo è lago ed è Passignano, il pontile e il chiosco, la Rocca e lo stradone del Pischiello, la collina di Castel Rigone e le strade sbrecciate di inizio anni 80, i super Tele e le ginocchia sbucciate, il 128 arancione e le spalline. La rotonda e il Palio, il piazzone e il campo vecchio.
E tutti quanti voi, uno per uno, amici.

Ecco, quest’anno no.
Quest’anno non solo non ci sarò, a Pasqua, ma non avrò nemmeno un briciolo della mia amata torta per tuffarmi nei ricordi più belli e disperati, nella reviviscenza più piena e avvolgente.
Confinato nella città dove venticinque anni fa ho scelto di vivere (Firenze, che sento mia anche più di Passignano, ma in un modo diverso, non… oh, ma come fanno presto a incasinarsi queste cose, e poi perché bisogna spiegarle, mica è obbligatorio, giusto?), dovrò fare i conti con questa privazione, che magari può sembrare una cosa di nulla, ma vi assicuro che dà a tutto quanto un contorno dannatamente triste.

Che poi questa quarantena, nei limiti del possibile, la sto vivendo bene, probabilmente – addirittura, nel migliore dei modi. Ovvero senza rassegnazione ma con estrema tranquillità.
Ma questi giorni di festa in generale, Pasqua in particolare, rendono tutto più complicato.
Del resto le feste sono il tempo interiore di ogni calendario, la spietata scansione cronologica che non solo, forse più dei compleanni, ti ricorda come un monito quanto stai invecchiando, ma soprattutto segna la misura delle mancanze, il da quanto non vedi chi più ami, quanto lo vorresti vedere e il tra quanto lo vedrai.
E oltre questo e nonostante questo, aggiungiamo, comunque e tuttavia e soprattutto, che da qualche anno a questa parte Pasqua è un periodo e un giorno per me maledettamente difficile a prescindere, visto che è stato proprio il giorno di Pasqua, quattro anni fa, che ho visto mia sorella viva per l’ultima volta, che l’ho baciata e abbracciata.

Quindi no, sommando ogni cosa questo non è proprio un bel giorno.
Anche se, tuttavia…
Anche se c’è qualcosa nell’aria, nonostante tutto e soprattutto nonostante me, il mio malumore e il mio scoramento, che mi dice che no, non è tutto qui, c’è qualcosa, anzi moltissimo al di là del ponte dei miei inconsolabili dolori.
Sarà il ciliegio che ostinatamente fiorisce, il sole che sfacciatamente splende e brucia, mia figlia che stupendamente ride e sorride.
Qualunque cosa sia è comunque qualcosa che dice, anzi urla, che la vita vince sempre sulla morte, sempre e comunque. Non la mia vita, e nemmeno la vostra. Proprio la vita in quanto tale, quella forza devastante che si sprigiona da chissà cosa e chissà dove e con impeto devastante ci trascina e fa sì che lo spettacolo continui nonostante le nostre miserie, le nostre piccinerie e i nostri sbagli, nonostante le nostre imprese e le nostre grandezze, nonostante le esaltazioni e le tragedie mondiali. Quell’energia che ci fa innamorare senza un perché e che comunque e tuttavia se ne frega. Sempre e comunque e di ogni cosa.
Compresa la morte.

E io lo so, dovrei saperlo senza bisogno di queste riflessioni trascurabili e forse banali di una Pasqua eccezionale passata in quarantena.
Lo so perché l’ho sentita, e mi ha attraversato da parte a parte, visto che la gioia e il dolore più grandi della mia vita si sono fatalmente intrecciati, sovrapposti. E la gioia se lo è mangiato, quel dolore, lo ha fatto a pezzi, sbranato, annientato.
E non perché io sia forte o abbia chissà quali spalle larghe. Ma solo e semplicemente perché lei, sempre lei, la Vita, è più forte.
Di tutto e soprattutto della morte.
Una forza che ti si impone e ti costringe ad arrenderti, che tu lo voglia o no.

E oggi è Pasqua, e che si sia o no credenti, è di Resurrezione che si parla.
Di Vita che batte e distrugge la morte.

Tanti auguri amici miei, fratelli miei, mia Passignano, mio lago, mia vita…

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