Sulle gambe e sull’amore

Una storia di gonne corte e gonne lunghe

Un tempo, ricordo bene, buttarono l’Amore dalla finestra e giocarono a tritare sterco e fango sul candore immacolato della Bellezza. Levarono drappi cuciti a morte e gonfaloni di peste al grido sanguinario di tu, donna, partorirai con gran dolore, e tu, uomo, lavorerai con gran sudore.
La menzogna si fece Regina di Cuori e – poiché l’Umanità piuttosto alla luce preferì le tenebre – proibire e nascondere divenne la legalizzazione dell’orgia del quieto vivere.

Ma io – Io – che sono un Barbaro Nordico e conosco gli Alti Ghiacciai, io – IO – che ho visto il sorgere del Sole nelle praterie dell’Apocalisse, io – I O – che sono un Bruto che non sa pulirsi le mani e non sa passarti a prenderti in occhiali neri, ma so urlare e vomitare Amore nell’Aleph in cui i cuori sono puri sciabordii di maree, IO, insomma, dico:

che tu, donna, fosti fatta per le gambe e per camminare ansiosa e azzurra e vertiginosa nelle autostrade del mondo

che tu, donna, nascesti pelle di madreperla in un sorriso di ginocchia e caviglie

che a te, donna, da Femmina Divina e Suprema Dominatrice del Cielo e della Terra, ti ridussero fringuello pio e timorato, gingillo domenicale di omuncoli senza sangue,
imponendoti, per farli felici di
coprirti
mostrarti solo a loro anziché al mondo intero
temere l’orgasmo del cibo
trattenere i fianchi
non saper vedere la tua bellezza

che tu, donna, sei bella nuda e coraggiosa, come folle baccante nei deliri grigiazzurri dei cieli

che tu, donna, devi guidare la rivoluzione dell’esplosione dei tuoi fianchi, poiché è lì e lì soltanto che si genera la vita

che tu, donna, come carcasse di guerrieri sconfitti devi gettare al pasto arcaico delle fiere i pantaloni, che come prigioni ti condannano all’ergastolo dei sensi

che quelle pantaprigioni legano e frustano e strozzano il tuo meraviglioso delirio

che tu, donna, devi rivestirti di gonne come le ancelle pagane ornavano di fiori l’opulenza dei seni

che tu, donna, sarai bella in gonna corta, quelle gonne corte che sono delizia vertiginosa e spettacolare tormento, che misurano i centimetri delle tue gambe come i gabbiani scrutano ansiosi le balaustre dei pontili, che aprono squarci di nudità tremante e si fermano in improvvisa dissolvenza là dove si annidano le follie dell’accoppiamento, che fasciano le tue forme e sublimano in trame di romanzi vagabondi

che tu, donna, sarai ancora più tu e ancora più bella in gonna lunga, perché
tu sei femmina e quindi mistero, non appartiene al tuo sangue il palesarsi brutale della gonna corta, è tua invece la scommessa feroce e ubriaca di malizia della gonna che ti scende sui fianchi e ti solletica le ginocchia

tu sei femmina e quindi seduttrice muta e corporea, è tua la rigidità della gonna lunga che nega anche il saluto ed è tuo anche il suo improvviso agitarsi e svolazzare che chiama l’uomo al fuoco dell’Amore

tu sei femmina e nascondi e sveli, è tuo l’essere sipario della gonna lunga che improvvisamente svela il concerto eterno di gambe e cosce e caviglie

tu sei femmina e sei infinita e complicata, è tua la strada tortuosa e accennata che dalla gonna lunga porta al tuo mistero uterino e al delirio delle tue carni

tu sei femmina e sei dea e sei anima, non sei corpo enorme o minuto, non sei fianco largo o stretto, tu sei – donna e femmina e madre e amante – un’immensa gonna lunga aperta e chiusa, misteriosa e taciturna, svolazzante e composta, provocante e riottosa

tu
donna
gonna lunga
straziante meraviglia
ballo eterno di mistero e speranza.

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