Ateismo?

In queste settimane di reclusione forzata, sto scrivendo molto.
Bozze di opere in pieno corso o in dirittura d’arrivo, appunti e schemi per progetti e opere future, revisioni di opere terminate e rimaste nel cassetto.
Soprattutto però, sto scrivendo riflessioni e considerazioni strettamente personali, parole e parole per scavarmi dentro e tentare di capirmi e riconoscermi in questo momento che, mio e nostro malgrado, ci mette tutti con le spalle al muro.
Considerazioni e riflessioni che non avranno alcun seguito, che rimarranno lì, nella mia estrema intimità.
Tranne alcune eccezioni, come la storia che oggi mi sento di condividere.
L’inizio dell’emergenza e della quarantena di massa, per me ha coinciso con la fine di un trasloco. Nella confusione, nel disagio e soprattutto nella fretta (che si possono ben immaginare) di concludere l’indispensabile e di separare in pochi secondi il necessario dal superfluo, saltava fuori di tutto.
Tra le tante cose, un braccialetto di corda fatto di dodici quadratini di legno raffiguranti minature di santi, natività e altre immagini sacre. Mai visto prima. E, a tutt’oggi, non sono riuscito ancora a capire da dove sia saltato fuori.
Fatto sta che me lo sono infilato al polso immediatamente, appena visto tra uno scatolone e l’altro. Non come un gesto fatto sovrapensiero, ma in maniera totalmente consapevole, in piena coscienza, come avessi trovato una protezione indispensabile alla negatività del momento.
A oggi, quasi un mese dopo, non me lo sono ancora tolto.
E non solo non ho alcuna intenzione di farlo, ma poche cose in questi giorni mi tranquillizzano come quel braccialetto.

Credo che al di là di tutto, sia la riprova definitiva di come il mio ateismo, quell’ateismo così tanto ribadito e sbandierato, sia una delle tante ostentazioni a cui negli anni mi sono abbandonato per costruire un’immagine fasulla di me stesso, uno dei tanti schermi e delle tante corazze dietro cui ho cercato, più o meno tragicamente, di nascondere al mondo – anche quello più vicino, intimo e fraterno – le mie fragilità più autentiche, il me stesso più vero.
Proprio io, che mentre per paura di non essere abbastanza affogavo la mia parte più vera dietro cumuli di stronzate, avevo pure la faccia di culo di andare in giro a dire a tutti di non avere paura di essere fragili e imperfetti.

Poi di cazzate, oltre questa, ne ho fatte e soprattutto ne ho raccontate moltissime altre. Agli altri e a me stesso. E magari questa non è certo la peggiore, ma è particolarmente forte, importante, addirittura simbolica, nel trovarsi improvvisamente, senza alcun filtro, a fare spaventosamente i conti (salatissimi e dolorosi) con la propria ipocrisia. E a dove ammettere che a salvarti è proprio quella verità trita di cui ti sei vergognato per anni e che, sempre per anni, hai fatto di tutto per cancellarla con ogni possibile menzogna.

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