Ma quanto è difficile fare lo scrittore (e parlare di eroina)

Io devo solo ringraziarvi, e probabilmente non sapete quanto. A tutti quanti voi dico, che in quest’anno che sta finendo avete letto “Il Piccolo Principe è morto”. E davvero, credetemi, è un grazie tutt’altro che di rito o di maniera.
Di questi tempi, ultimi giorni dell’anno o giù di lì, è inevitabile stilare bilanci, tirare somme e sottrazioni, snocciolare conclusioni.
E il bilancio de “Il Piccolo Principe è morto”, che ha egemonizzato tutto il mio 2019, parla di due edizioni, ristampe pressoché continue, otto mesi di permanenza nella classifica IBS dei libri più venduti, una pioggia di recensioni entusiaste, passaggi in radio, un tour tuttora in corso che al momento conta ben trenta eventi di presentazione.
Numeri che sono importanti in assoluto, in qualsiasi contesto. Ma che se li guardiamo dal punto di vista della editoria indipendente di cui faccio parte, diventano senza dubbio clamorosi, forse addirittura apocalittici.
Questo perché parliamo di un panorama editoriale, quello italiano, assurdamente e ferocemente monopolistico, dove un solo gigantesco distributore – Messaggerie spa – controlla e di conseguenza indirizza e determina l’intero mercato. Serve e distribuisce tutte le più grandi case editrici, che sembrano svariate, ma sono diversi solo i marchi, perché a loro volta, negli anni, sono state risucchiate da due, tre grandi gruppi al massimo. Così noi oggi continuiamo a dire Mondadori, Rizzoli e Einaudi, ma in realtà stiamo parlando della medesima azienda, con la situazione atrocemente paradossale per cui la stessa multinazionale edita sia il libro sia le testate giornalistiche, radiofoniche o televisive che lo recensiscono. Nonché è proprietaria delle case di produzione cinematografiche che comprano – a se stesse – i diritti di sfruttamento per trasformare un libro in un film. E il tutto è ancora più evidente nelle grandi librerie, che ormai non esistono più in quanto tali – ovvero come esercizi dove professionisti del libro, i librai appunto, costruiscono autonomamente la propria scaffalatura – ma come catene di franchising riprodotte identiche a loro stesse in ogni dove – Mondadori Store, Giunti al Punto, la Feltrinelli… soprattutto la Feltrinelli – che ricevono in automatico l’intera distribuzione di Messaggerie, che non si accaparra e decide arbitrariamente soltanto la vetrina, ma ogni centimetro di scaffale.
E la piccola editoria indipendente, che nella sua stragrande maggioranza non è distribuita da Messaggerie, in queste grandi librerie non arriva. E il valore del libro in sé, la sua bellezza o la sua forza, sono parametri che non vengono presi in considerazione. Conta il marchio di distribuzione. Che poi non è una scelta, non essere distribuiti da Messaggerie, ma un obbligo. Le percentuali che questa portaerei dell’editoria chiede agli editori sono così esose che un piccolo editore, salvo chiudere bottega o rassegnarsi a farsi inglobare da un editore più grande, non può proprio permettersi. Quindi deve affidarsi ad altri distributori. Con tutti i problemi che ne conseguono. A partire dal fatto, come a questo punto penso sia facilmente intuibile, che questi distributori – Libro Co, Fastbook, Centro Libri.. – non vengono presi in automatico dalle grandi librerie (i luoghi dove bazzica il maggior numero di potenziali acquirenti), nemmeno in piccolissime quantità. Per essere presenti in queste grandi catene, occorre che un cliente ordini prima il libro.
Ma anche in questo caso non è così semplice. Ai primi di marzo, con “Il Piccolo Principe è morto” uscito da un mesetto e che già prometteva decisamente bene, tre amici, senza consultarsi tra di loro e senza consultare me, andarono a cercare il libro nello stesso punto Feltrinelli. A uno presero in carico l’ordine, mentre agli altri due fu detto che il libro non risultava disponibile presso il distributore e quindi non poteva essere ordinato. Questo nonostante lo stesso esercizio nella stessa giornata lo avesse già ordinato e nonostante sul sito del distributore il libro risultava al contrario assolutamente disponibile. Come si spiega una cosa simile? Una svista di commessi inesperti? Chissà. A voler essere maligni, pare quasi che ci sia una precisa direttiva a scoraggiare ordini che fuoriescano dal raggio d’azione di Messaggerie.
I paradossi, tuttavia, non finiscono qui. Sempre in quel punto Feltrinelli ci sono stati altri ordini. Molti altri ordini. Qualche disguido, un altro paio di incomprensibili“impossibile ordinarlo”, ma la maggior parte sono stati soddisfatti. Ora però logica vorrebbe che se in una settimana dieci o quindici persone vengono a ordinare lo stesso libro, la libreria due domande se le faccia, concluda che è un libro che “sta andando” e ne ordini più copie per metterlo a scaffale. E infatti, verso la fine di marzo sul gigantesco sito delle librerie la Feltrinelli, cliccando sulla opzione “verifica disponibilità in negozio” il mio libro risultava effettivamente disponibile nel punto vendita di cui sopra. In quantità limitata, ma comunque disponibile.
Una persona, che non conoscevo ma che poi mi scrisse per segnalarmi la cosa, andò a colpo sicuro. Ma, sorpresa, il libro non c’era. In nessuno scaffale. Chiese al personale e il personale andò in tilt, perché pure a loro risultava presente ma non lo trovavano in scaffale. Finché un altro commesso non risolse la cosa: il libro c’era, in alcune copie, solo che non era a scaffale, ma dentro un cassetto.
Ma come è possibile che una libreria ordini, che so, tre o cinque copie di un libro e poi le tenga sotto chiave, in un cassetto?
Credo che ogni altro commento sia superfluo.
Che poi questi sono soltanto piccolissimi esempi di quante e quali disavventure grottesche un libro indipendente si trovi quotidianamente ad affrontare.
Perciò capite che in una simile situazione, in una lotta molto più che impari e probabilmente molto più che sleale, quando un romanzo indipendente ha successo – e “Il Piccolo Principe è morto”, fortuna mia, rientra in questa rara casistica – è una specie di miracolo.
Per questo devo ringraziarvi davvero con tutto il cuore, con tutte le riserve di sincerità che ho a disposizione. Perché so molto bene che molti di voi, forse addirittura la maggioranza di voi, questo libro non lo hanno semplicemente acquistato, ma per comprarlo hanno dovuto cercarlo, ordinarlo, aspettarlo spesso anche molto tempo, andare in grandi librerie e sentirsi dire che era impossibile ordinarlo. Perché oltre uno scrittore e un editore “resistenti” e lottatori, oltre che splendide librerie ancora libere e dove ancora vivono i librai, in questi casi sono indispensabili anche lettori altrettanto ostinati, che i libri se li vanno a cercare senza accontentarsi delle pubblicità martellanti e roboanti, che vanno nelle librerie vere senza fermarsi ai megastore o al reparto libri del centro commerciale.

Ma a fare certi discorsi corro il rischio di sembrare ciò che più detesto, ovvero quel genere di scrittore che critica la grande editoria per frustrazione, solo perché non ne fa parte e dai grandi editori è stato rifiutato. Perciò, a scanso di equivoci, chiariamo subito. Io sì, sono stato scartato – e per giunta all’ultimo step – da un grande editore, ma per quanto opinabili possano essere state le ragioni del rifiuto de “Il Piccolo Principe è morto”, io non contesto, né mai lo farò, il “no” ricevuto.
Ho sempre pensato, penso e sempre penserò che un editore – piccolo o gigantesco che sia – è prima di tutto un imprenditore, e come tale decide una linea, una “politica”, delle modalità che tanto nel merito quanto nel metodo sono assolutamente insindacabili. E che di conseguenza uno scrittore non può recriminare di non essere stato pubblicato: la recriminazione è sempre di gran lunga più assurda delle più bizzarre delle motivazioni di rifiuto. E non ho mai pensato, nel più becero stile italiano, che quelli che pubblicano con i grandi editori siano una manica di raccomandati e incapaci che occupano abusivamente il posto che spetterebbe a me. Penso al contrario che i grandi gruppi editoriali pubblichino principalmente grandi, grandissimi scrittori, capaci e talentuosi. E che altri grandi scrittori che meriterebbero, a volte se li lascino scappare clamorosamente.
Ma questo fa parte del gioco, è sempre successo e sempre succederà, in ogni tempo e in ogni spazio. Se all’inizio del novecento la grande editoria anglosassone si è fatta sfuggire Joyce, perché mai oggi come oggi Einaudi o Rizzoli non dovrebbero farsi sfuggire uno scrittore semplicemente bravo?
Non è questo che contesto, e tanto meno è la mia storia personale. È il sistema in sé che sballa ogni cosa e riempie il mercato di ingiustizie insopportabili.
Perché se il romanzo “x” non rientra nella linea di un grande editore, se è comunque un buon romanzo, la storia lo dimostra ampiamente, rientrerà nella linea di un altro. Che magari è più piccolo, e di certo non avrà la stessa forza economica, gli stessi spazi pubblicitari, la stessa capacità mediatica, le stesse vetrine del colosso, ma sarà comunque presente in libreria e, pure se non certo ad armi pari, potrà giocarsela sullo stesso terreno. Questo un tempo, oggi non più. Oggi, come spiegavo prima, il libro proprio non arriva, gli viene negato lo stesso spazio, la coesistenza nello stesso scaffale ai volumi editi dal grande marchio. Per dirla con una metafora calcistica: lo scudetto lo vince sempre la Juventus, ma la Spal almeno a provare a giocarsela a Torino può andare, mentre nel sistema editoriale odierno la Spal non può nemmeno scendere in campo.
Un problema, capite, che va di gran lunga al di là del mio libro o di un qualsiasi romanzo pubblicato con Caio anziché con Tizio, ma che al contrario investe il futuro dell’editoria, il futuro stesso dei libri in assoluto, di un settore che dovrebbe essere l’incarnazione del pluralismo e invece è dominato dal più cannibale dei monopoli, che sta facendo chiudere una dopo l’altra le librerie indipendenti e che, a noi editori e scrittori indipendenti, ci sta sempre più stritolando in una morsa mortale tra il cannibalismo di Messaggerie e soci da una parte e l’oscenità dell’editoria a pagamento e del self publishing dall’altra.

Tornando poi alla mia esperienza personale, parliamo sì di numeri che in una simile situazione hanno del miracoloso, e anche adesso che scrivo con la coda dell’occhio vedo la disponibilità del romanzo su Amazon che continua a scendere, segno che continua a vendere anche a un anno di distanza.
Ma è comunque un successo che per quanto lo abbiamo festeggiato e continueremo a farlo, lascia comunque un che di amarezza. Perché è comunque un successo limitato a prescindere, che più in là di un tot non può spingersi certo per mancanza di mezzi, ma soprattutto perché viene bruscamente frenato. Se una grande libreria ci ordina il libro ma poi lo tiene nel cassetto, se – altra cosa accaduta – un giornalista di un grande quotidiano vuole il libro per recensirlo ma poi non può farlo perché gli spazi sono fagocitati a prescindere da altri gruppi editoriali, è ovvio che finiamo a chiederci, con comprensibile fastidio e impotenza, dove saremmo potuti arrivare in condizioni semplicemente “normali”.
Oltretutto con un argomento – la tossicodipendenza, l’eroina – tutt’altro che “comodo”.
Il grande editore a cui accennavo prima che rifiutò questo romanzo, lo trovò comunque molto bello, ma non volle pubblicarlo perché, a suo dire, era tematica “fuori moda” (sic!). Eravamo alla fine del 2017. Io, che comunque avevo scritto il romanzo senza pormi minimamente il problema di essere alla moda o fuori moda, già allora non ero d’accordo. Poi gli eventi, e soprattutto le statistiche dei mesi successivi, avrebbero smentito categoricamente quella valutazione, certificando al contrario – e purtroppo – l’impetuoso ritorno, o meglio il riaffiorare, dell’eroina tra i giovani e i giovanissimi, segno di un problema mai veramente risolto.
Ma in questo caso la riprova più importante sono stati i ragazzi, i coetanei dei personaggi del libro, il modo in cui hanno letto e amato quelle pagine. Incontrarli alle presentazioni, ricevere i loro messaggi, in un anno così esaltante è stata davvero la soddisfazione più grande, la più viscerale, la più piena e autentica. Per non parlare degli incontri che abbiamo fatto nelle scuole, mattine veramente indimenticabili che hanno dato un senso altissimo al mio essere scrittore, davvero più grande di qualsiasi classifica di vendita. Segno che sì, i ragazzi hanno bisogno di parlare di queste cose. Un bisogno disperato che non possiamo non ascoltare.
Purtroppo però anche se parliamo di scuole, non tutto è stato rose e fiori. Nell’ultimo mese alcune scuole – non molte, meno delle dita di una mano, ma sono situazioni che fotografano tendenze forse destinate ad allargarsi, dove i numeri non contano nulla – dove dei docenti ci avevano contattati per adottare il libro hanno fatto dietrofront, giudicando il libro “troppo spinto”, con un eccesso di “turpiloquio” e “pericoloso” per i ragazzi. In sostanza queste scuole, dopo un invito iniziale, ci hanno censurati una volta letto il libro, perché a loro dire il linguaggio è troppo crudo e perché spingerebbe i ragazzi verso la droga.
Forse era inevitabile che accadesse. Nel senso che una volta usciti dalla nicchia, appena l’eco si allarga, specie se si porta in dono una tematica così spinosa (e altro che fuori moda), si finisce per forza nel tritacarne di certe polemiche.
E io vorrei chiudere l’anno rispondendo a queste polemiche, a queste tre scuole (e a quelle che l’anno prossimo si accoderanno). Dicendo: sbagliate, io non ho certo la risposta, non ho certo la verità e nemmeno la certezza del giusto, ma di sicuro voi sbagliate. E di grosso. Non parlo del mio romanzo, parlo del fatto che impedendo ai ragazzi di parlare di eroina negate un loro bisogno. E sbagliate due volte a negargli di parlarne nell’unico modo veramente autentico, ovvero crudo, diretto, senza troppi filtri. Negandogli questo li lasciate ancora più soli, abbandonati, senza mappature per riconoscere, affrontare e sconfiggere quell’inferno. Parlando invece del mio romanzo, l’accusa che mi avete lanciato è a dir poco gravissima. Accetto ogni critica, ogni stroncatura. Ditemi che il mio romanzo fa schifo e non replicherò una sola parola. Ma non potete accusarmi di aver scritto un libro che spinge i ragazzi a bucarsi. Questa non è una critica, è un’infamia che mi offende, mi fa sinceramente male e a cui non posso non rispondere. Mi dite che è stato un errore scrivere di un ragazzo “normale”, “come tanti”, che precipita nel tunnel dell’eroina: così, secondo voi, i ragazzi finiscono col pensare che farsi è una cosa “normale”. Sinceramente, mi fate quasi pena quando dite queste cose. Pena per lo sguardo misero che avete sul mondo, su tutto ciò che vi circonda, che pretendete che si racconti della tossicodipendenza come una cosa che viene da lontano, da Marte, che esiste ma non ci riguarda, roba da cattive persone, malate, subnormali, come la sporcizia da buttare rapidamente sotto il tappeto.
Per fortuna i ragazzi non sono come voi. I ragazzi hanno letto questo libro e lo hanno amato o detestato per quello che è: una tragedia reale, attorno e dentro noi. Sicuramente a qualcuno, forse a molti, il romanzo non è piaciuto. Ma altrettanto sicuramente nessuna di queste righe ha spinto i diciottenni a provare l’eroina.
E un’ultima cosa sul linguaggio. È vero, è crudo, crudissimo. Ma io penso che – Dante docet – quando la materia narrata è feroce, allora il linguaggio ha il dovere di essere feroce.
Non preoccupatevi se il linguaggio si incrudisce, preoccupatevi se – e purtroppo succede di continuo – si immiserisce.

Guardo l’orologio e mi accorgo che sono le due di notte del 31 dicembre. Esattamente un anno fa, più o meno a quest’ora, finivo di scrivere i ringraziamenti de “Il Piccolo Principe è morto”.
Ad ogni modo, anniversari a parte, è molto tardi, quindi direi di finirla qui.
E la finisco dicendo che di tutte queste cose avevo un grande bisogno di parlare. Magari voi ne avevate molto meno di leggere, ma grazie comunque se siete riusciti ad arrivare fino alla fine. Soprattutto, la finisco dicendo che vince comunque la gioia, che al di là delle amarezze, delle polemiche per un sistema davvero ingiusto, resta alle spalle un 2019 straordinario, un’avventura incredibile piena di posti meravigliosi e splendide persone.
Il tutto grazie al mio piccolo romanzo e alla mia stupenda casa editrice, che lo ha reso possibile.
Un tutto talmente bello che cercheremo di farlo proseguire nel 2020. Anzi, che cercheremo addirittura di raddoppiare, visto che a fine febbraio uscirà il nuovo romanzo. Del quale qui, oggi, in anteprima assoluta, svelo il titolo.
Si chiama FIRENZE, UN FILM.

E adesso, via con le bollicine.
Grazie a tutti,
buon 2020, con tutto il cuore.

Riccardo

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