La resa dei conti

Poche ore ancora e, forse già dall’ora di pranzo, sapremo il futuro politico e istituzionale del nostro paese. O, se si preferisce, sapremo di che morte dovremo morire.
La situazione, come nel più classico dei drammi dell’assurdo, pare tornata al punto di partenza, con Di Maio a bussare nuovamente alla porta di Salvini, portando stavolta in dono il passo indietro sul premier ma lasciando immutato il veto su Forza Italia (e, implicitamente, anche su Fratelli d’Italia). E con Salvini per nulla disposto né a rompere con gli alleati né ad accettare un governo del presidente, nonché alle prese con la disponibilità manifesta di Berlusconi a sostenere un eventuale esecutivo tecnico.
Tutto uguale eppure tutto diverso. Perché se da un lato questo eterno ritorno certifica (qualora ce ne fosse ulteriore bisogno) come, nel Risiko irrisolvibile delle combinazioni possibili, la coppia Di Maio-Salvini resta quella con la più alta percentuale di “affinità elettive”, di acqua sotto i ponti, in sessanta giorni, ne è passata parecchia. I partiti sono ormai logori, il lungo e pericoloso gioco al massacro delle istituzioni ha lasciato ferite che non si rimargineranno né con un nuovo governo né con nuove elezioni. L’obiettivo non è più quello di imporsi a palazzo Chigi, ma smarcarsi dalla responsabilità dell’ingovernabilità (in questo senso va letta la nuova offerta alla Lega fatta da Di Maio), e soprattutto davanti non c’è più un presidente della repubblica disposto a concedere tempo, ma un garante delle istituzioni fermo e risoluto nel non offrire più altri giri di clessidra.
Una inevitabile resa dei conti che però, lungi dal prendere una direzione puramente istituzionale, sembra essere un regolamento tutto interno a partiti e coalizioni.
Con la conseguenza che qualsiasi cosa nascerà oggi, sarà estremamente fragile e priva di una minima legittimazione.

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *