Bob Geldof – “The Great Song of Indifference”

C’era il grunge, certo. Ma c’era anche il folk (che poi il grunge ha qualcosa – probabilmente molto – a che fare col folk, ma per adesso non complichiamo le cose), in quei primi splendidi, tragici, stinti, feroci e annacquati anni 90.
E che folk ragazzi…
Il folk autentico, sanguigno e viscerale che soffiava da lassù, da quella terra disperata e fiabesca chiamata Irlanda, dove le promesse d’eterna amicizia sono benedette dal ring of claddagh mentre una giga impazzita riempie la notte e accompagna i salti dei leprecani che alla fine degli arcobaleni seminano pepite d’oro impossibili da trovare, e dove “A jug of punch” ha la voce della fata Banshee e il profumo di torba mescolato alla Guinnes e al quadrifoglio.
L’Irlanda che in quegli anni 90 aveva ancora sangue innocente da piangere e una secolare ingiustizia da far cantare ai suoi esuli eterni, tra il vagare ossessivo di Bloom e l’armonica di uno Sean che all’angolo di Temple Bar raccontava piangendo la storia di Bobby Sand e il ribollire di Falls Road.
L’Irlanda del Combat Folk che in quegli anni sarebbe arrivato impetuoso e inarrestabile anche da noi, e dai Modena City Ramblers in poi sarebbe diventato la colonna sonora della nostra stagione migliore, quando ormai ventenni provammo ad assaltare il cielo reclamando un altro mondo possibile.
L’Irlanda del grande, immenso e infinito Bob Geldof, che nel 1990 diede alle nostre lotte e alle nostre utopie la più indemoniata e pazzesca delle danze…
Questa…

Ai nostri amori mescolati alla voglia di cambiare…
agli innamoramenti esplosi alla fine delle manifestazioni, quando i piedi fumanti continuavano a ballare e tra una Guinnes e l’altra, il mondo iniziava e finiva nelle gambe di una donna che in gonna gitana ti trascinava nella notte, all’ombra di una bandiera rossa che sventolava sopra il tuo giovane bacio affamato…

#jukebox
#anni90
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