La peggio gioventù

Il tiro al bersaglio contro Teresa Bellanova – assurdo, ma ferocemente reale e, soprattutto, incredibilmente diffuso e condiviso – si è mosso e si muove (e probabilmente si muoverà) su due binari.

Il primo è l’ennesima riedizione del più truce sessismo da social, la logica becera per cui una donna è sempre attaccabile in quanto donna: se esteticamente perfetta in quanto esteticamente perfetta, se esteticamente non perfetta in quanto estetaticamente non perfetta, se rispondente ai canoni vigenti del dresscode in quanto rispondente ai canoni vigenti del dresscode, se non rispondente in quanto non rispondente.
Il tutto sempre con toni e frasari da macelleria, con un linguaggio frutto del più basso cameratismo e della più trucida goliardia machista.
Un maschilismo pettoruto e violento, talmente sfacciato ed esibito, talmente impresentabile e indifendibile che diventa quasi scontato (e quasi obbligatorio) condannarlo, anche da parte di chi, sotto sotto e magari con altre modalità, nella sostanza concorda e sottoscrive.

Di tutt’altro genere, e soprattutto di tutt’altro tono, il secondo. Se l’attacco sessista si relega nel fondo del barile della decenza, nel tritume più sporco e barbaro della violenza di genere, nel semplicismo più abietto, sgrammaticato e allergico all’intelligenza, in quest’altro caso si snocciolano argomentazioni e domande, si abbozzano invettive.
Con un linguaggio che spazia dal ripulito al colto, si trascina la Bellanova sull’ideale patibolo della contestazione social per la sua assenza di titoli accademici, per quella licenza di terza media vista come un affronto alla stessa credibilità delle istituzioni.
E se l’insulto sessista nove volte su dieci è capitanato dal più bestiale e reietto dei leoni da tastiera, la polemica sul curriculum deficitario ha spesso firmatari abbastanza credibili e portavoce comunque presentabili, che quasi sempre si rafforzano proprio premettendo condanna e presa di distanza dal sessismo di cui sopra.

In realtà, questi due mondi all’apparenza così distanti, non solo si somigliano molto più di quanto si possa credere, ma sono di fatto la stessa cosa, le due facce della medesima medaglia, l’uno il completamento dell’altro.
Ovvero figli di quella medesima imputridita e marcescente superficialità che appesta e avvelena l’aria ovunque attorno a noi, espressioni uguali e contrarie di quella “peggio gioventù” che, muovendosi in silenzio, strisciante e balorda, ha finito per imporre sulla società il suo più squallido pensare e sentire.
Quella peggio gioventù di cui l’indignazione per un ministro con la terza media è lo specchio ingentilito e pseudo colto, e la battutaccia sessista il suo rovescio da trivio.
Quella peggio gioventù che non sa fare niente, non pensa niente e non vuole niente, se non che il niente continui a regnare incontrastato.
Incapace di riconoscere il valore immenso – al di là di tutto e di ogni posizione politica – di una storia come quella della Bellanova, ma anzi di temerlo quel valore, viverlo come uno sgarbo alla propria inconcludente mediocrità e, anziché portarle il rispetto che le spetta, irriderla e insultarla.
Cosi superficiale da non riuscire mai a vedere l’essere umano, il singolo e l’unicità della sua storia, ma capace solo di incasellare, ragionare per schemi e pregiudizi, massificare, uniformare.
Così superficiale da vedere una laurea come un’etichetta priva di contenuti, un puro lustrino da esibire, e non come il primo punto di arrivo di un duro lavoro, non come garanzia di competenza. Perché la competenza, bene ripeterlo, qualunque essa sia è temuta come la peggiore delle disgrazie.
Per questo con disinvoltura e con la medesima disarmante superficialità si passa dall’attacco ai ministri con la terza media a quello ai professoroni, dagli insulti sessuali alle donne troppo belle a quelli alle donne non troppo belle.
In un magma trasversale, distruttore e annichilente, dove non c’è più divisione ideologica o di estrazione, ma ci si unisce in nome del peggio e della superficialità che purifica e riscatta il nulla elevandolo a nuovo Dio.
Dove, davanti a ogni orrore, si realizza la profezia di Pasolini per cui nessuno è più capace di emettere “un giudizio netto, interamente indignato” e tutti annegano in una beata “strana indifferenza”. E anche tra chi si indigna, c’è chi non resiste e al giudizio netto, l’unico necessario in questi casi, deve per forza fare il distinguo e ricordare le proprie ostilità politiche verso la Bellanova (ostilità che io condivido, visto che per primo ho lottato contro il job act e contestato l’intero impianto dei provvedimenti in materia di lavoro del governo Renzi di cui la Bellanova era sottosegretario, ma sono distinguo e precisazioni, in questo contesto e davanti ad accuse così vili, totalmente fuori luogo), partecipando e contribuendo al festival del nulla.
Dove importa solo distruggere competenza e intelligenza.
Affinché il niente e quella peggio gioventù che ne è portavoce continuino a imperare.

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