La crisi è andata in scena

Alla fine la crisi di governo è andata in scena.
Ed è stato, come era tristemente prevedibile, un pessimo spettacolo dove, a farla da padrona, è stata la miseria. Umana, politica, di idee e di contenuti.

Miseri i cori da stadio che hanno accompagnato e interrotto gli interventi di chiunque, terribile leit motiv di tutta la giornata e tragico comune denominatore di ogni schieramento, nonché – soprattutto – simbolo di una classe politica che non è minimamente all’altezza della serietà e della drammaticità del periodo che sta attraversando il nostro paese.

Per quanto io per primo lo abbia condiviso in molti passaggi e in generale nel tono pacato e distinto, misero è stato anche il discorso di Conte.
Sacrosanti – e ovviamente da me condivisi – gli attacchi a Salvini, ma a fronte della legittima durezza delle critiche di oggi, diventa ancor più incomprensibile il silenzio di questi quattordici mesi. Misero, soprattutto, quel “caro Matteo” con cui più volte il premier dimissionario ha apostrofato Salvini. Non solo la critica è parsa essere più alla persona che al politico, ma quel tono confidenziale da resa di conti tra amici di quartiere, ha dato il definitivo colpo di grazia agli ultimi residui di dignità istituzionale presenti in parlamento, a cui lo stesso Conte si è più volte appellato. Con tutto che la politica che “dà del tu”, che è passata da “onorevole Salvini” a “caro Matteo”, è la stessa che è passata dal parlamento ai social, la stessa bacchettata da Conte.
Ma misera è stata soprattutto la seconda parte del suo intervento. Se la prima parte, interamente incentrata sulle accuse a Salvini, grazie alla fermezza degli attacchi contrappuntata dalla moderazione dei toni, aveva sostanzialmente retto mostrando un’innegabile efficacia, quando il primo ministro è passato a tracciare un’ipotetica linea d’azione per il futuro, l’impianto è goffamente franato, mostrando tutta l’imbarazzante inconsistenza di un progetto politico assente, tragicamente inesistente.

Misera, miserrima, la replica di Salvini. Misera, becera, vuota come solo l’aggressività sa essere, a tratti deliberatamente vergognosa.
Venti minuti di ovvia e trita sintesi di logica salviniana, in cui il ministro dell’interno sfoggia in passerella l’intero suo campionario.
Venti minuti di nulla assoluto, uno slogan dopo l’altro condito da teatralità grottesche, come quando, manco fosse Maria Antonietta davanti al popolo inferocito sul balcone di Versailles, spalanca le braccia offrendosi come agnello sacrificale al linciaggio e al martirio.
Venti minuti in cui attacca Saviano e Renzi, vaneggia un 2050 senza più italiani, incita alla difesa della patria, ripropone l’identità immigrati/delinquenza, chiama alle urne in nome del popolo sovrano, parla al paese reale e sbeffeggia quello virtuale del parlamento come se lui e i suoi non ne facessero parte, oppone alla politica il mondo “che lavora” dichiarando implicitamente di non lavorare, trova il tempo di glorificare la famiglia tradizionale, rivendica l’invocazione alla Vergine.
Venti minuti in cui fa tutto tranne che rispondere alle accuse di Conte, fa di tutto tranne che politica.
Venti minuti di propaganda totalmente priva di contenuti, di idee, di prospettive, di futuro.
Perché è chiaro, ed è lo stesso motivo per cui con così tanta forza si chiedono elezioni, che Salvini non sa governare e non sa nemmeno reggere un contraddittorio, ma sa solo fare campagna elettorale, solo fabbricare un presente continuo, tenere un comizio eterno di parole in grado di scatenare e detonare i più bassi movimenti del ventre della massa.
Venti minuti di voluta elusione di tutto ciò che è legge, norma, costituzione. Dove il presidente della repubblica – e con esso ogni prassi repubblicana – non viene mai , MAI, neanche nominato.

Misera, ovviamente, anche la sinistra o presunta tale.
Incapace di elaborare una linea degna di questo nome e soprattutto incapace di parlare per prima, di attaccare la manifesta incompetenza di molta azione governativa.
Talmente inconsistente da poter esistere soltanto nella risposta, spettatrice impotente – e talora complice – di questo caos violento e rissoso, melmoso e caciarone, in cui il nulla salviniano sguazza beatamente.
Talmente incapace di agire da osservare impassibile al modo in cui Salvini, col più stravagante degli autogol, è riuscito a rimettere al centro della ribalta Matteo Renzi. E dopo averlo – almeno a parole – spodestato, emarginato e sacrificato in nome di una rinascita e un rinnovamento mai avvenuti, lasciargliela questa ribalta, ricompattarsi attorno a lui e lasciare che fosse lui, Renzi, il grande rinnegato, l’unico dell’opposizione ad attaccare concretamente l’operato del governo.
Talmente misera da dichiarare implicitamente che l’unico leader possibile sia quello che lei stessa ha mandato a casa.

E misera, più di ogni altra cosa, la totale mancanza della minima assunzione di responsabilità.
C’è una crisi di governo che nessuno ha provocato.
Un bilancio fallimentare di 14 mesi di governo – specie in materia economica e occupazionale, ma non solo – di cui nessuno è responsabile.
Un governo che ha agito sostanzialmente senza ostacoli, ma non c’è una tra tutte le opposizioni che voglia rivedere il suo modus operandi.
Ovunque macerie. E nessun responsabile.
Ovunque macerie e un nuovo giro all’orizzonte, una nuova corsa.
Nuove elezioni in cui ogni cosa sarà azzerata, in cui nessuno avrà fatto niente e in cui la colpa sarà del governo e dell’opposizione precedente. Senza che nessuno ne abbia fatto parte.

Oggi ho fatto ovvie e facili battute su Conte e sul suo omonimo, l’allenatore dell’Inter.
Ecco, senza ironia e senza battute, credo che scrivere di calciomercato sarebbe assai più salutare.
Di sicuro, sarebbe argomento infinitamente più serio

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