Nicole

Cara Nicole,
solo una manciata di giorni fa ho saputo della tua partenza e solo oggi riesco a scriverti. Sapevo, mi avevano detto e avevo letto, che stavi preparando le valigie. Ma, tra il prepararsi e il partire, c’è una voragine, un oceano.
A parte un paio di volte di sfuggita – troppo di sfuggita, e chissà perché non pensiamo mai che le nostre anime non le meritano, le sfuggite – non ci vedevamo da qualcosa come dieci, dodici anni.
Forse di più.
Quanto basta, in un mondo abituato ad andare così di fretta da non lasciare mai traccia, per perdersi nell’abisso dell’oblio.
Eppure, non è stato così. Per quanto sia liquido il mondo che ci è toccato in sorte, per quanto sia stato lungo il tempo del non vederci, non ti ho dimenticata. E so, sento e mille piccole cose, mille piccoli messaggi scambiati nel dedalo della rete, me lo confermano, che nemmeno tu mi avevi dimenticato.
Quando i rapporti sono veri, autentici, quando c’è il bene puro in fondo agli occhi, il tempo non cancella.
Ti ho conosciuta perché ero amico di tua madre, la splendida Selena che anche lei non so da quanto non vedo e che oggi più che mai avrei una fottuta voglia di abbracciare.
Era una stagione di grandi speranze, quella della nostra amicizia, del vedersi e dello stare insieme ogni giorno. Sognavamo, tua madre e io e tu e tutti quelli che stavano con noi, di cambiare il mondo. Condividevamo piazze, asfalto, botte, ideali, amori, lacrime, pugni chiusi, striscioni, canzoni, volantini, cene rivoluzionarie.
E condividevamo anche la buffa sorte di essere, tu, io, tua mamma e le tue sorelle, passignan-fiorentini. Forse per questo ci capivamo al volo: senza spiegazioni sapevamo cosa voleva dire la sofferenza della doppia patria, passeggiare all’ombra degli Uffizi smaniando di nostalgia di Lago, salire su alla Rocca sospirando per la mancanza dei lungarni.
Oggi più che mai ricordo gli abbracci con tua mamma, i viaggi in treno fino a Campo Marte con le tue sorelle, i nostri discorsi semplicemente complicati e lunghi giornate intere al pontile. E quando a Firenze passavo a salutarti, mentre facevi pacchetti in Feltrinelli.
È senza dubbio atroce e ingiusto morire d’estate, Nicole, quando gli anni profumano ancora di primavera. E qualcosa di atroce c’è pure nell’averlo saputo qui, su Facebook.
Anche se forse non esiste un modo meno atroce di altri. E poi, leggendoti e leggendoti, sempre qui, per sentirti più vicina in queste ore di tristezza, ho finito per sapere cose di te che ignoravo e che non fanno che dirmi quanto tu fossi bella e luminosa.
Oggi Nicole è il 25 luglio e come ogni fine luglio sono al lago, su quel pontile dove per anni abbiamo sognato e sperato insieme. E non c’è minuto, incontrando altri amici di quell’età felice, in cui non si ricordi quanto immenso fosse il tuo sorriso.
È il 25 luglio e nella tristezza inconsolabile del tuo non esserci, so che comunque mi lasci qualcosa.
Qualcosa di enorme, un infinito che ancora non riesco ad afferrare.
Ma che di certo, con la stessa leggerezza con cui sei passata sopra queste strade, mi chiede di non lasciarli andare, quei sogni e quelle speranze.
Quel mondo da cambiare.

Buon viaggio, amica mia…

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