Torre Maura, Simone e l’omologazione

Vedo e ascolto Simone, il quindicenne di Torre Maura, e subito penso a Pasolini, alle sue “illuminazioni” circa la mutazione antropologica degli italiani, l’emancipazione dal dialetto presentata come un arricchimento mentre in realtà è il più grande impoverimento linguistico, la più feroce e abietta omologazione culturale.
Continuando a seguire le premonizioni pasoliniane penso che tuttavia a nulla serve la conservazione, ostinata o no, consapevole o meno, della propria “disperata vitalità”, sia essa un dialetto genuino o una stradicciola romana lastricata di pietre. Infatti guardo e riguardo Simone e vedo come la sua innegabile, oggettiva, brutale autenticità di pischelluccio sgraziato e scevro di strutture, finisca ingabbiata dallo stesso mezzo che lo riprende, dalla modalità con cui la sua azione autentica viene riprodotta e diffusa. E di colpo la sua autenticità diventa falsità, la sua persona si fa personaggio, la sua ricchezza quasi primordiale si immiserisce e si polverizza nella piattezza omicida del mass media, la spontaneità imprevedibile della sua azione si tramuta nella più meccanica e vuota delle operazioni.
E meccanico, vuoto e fasullo – ancora più meccanico, ancora più vuoto e ancora più fasullo, e ancora più inutile – è inevitabilmente tutto il dibattito che ne segue, lo schieramento delle opposte tifoserie pro e contro Simone (che ieri erano pro e contro Greta, in un copione sfinito ma che tragicamente e assurdamente non passa mai di moda), il cicaleccio urlante, la costrizione dell’evento in categorie, in etichette catalogabili, riconoscibili e rassicuranti. Così che Simone si possa difendere o attaccare, l’importante è che la sua azione non destabilizzi nessuno e non cambi niente.
L’ennesimo teorema della società post industriale e post globalizzata svolgersi e compiersi davanti ai nostri occhi, nella calma, nella pace e nell’indifferenza più terrificanti.
Ma anche a dirle e a scriverle, queste cose, come le ho dette chiamato a rispondere e come le sto scrivendo adesso, il senso sfuma e sfugge. Basta pronunciarle e già le parole si fanno distorte e fasulle, pure la denuncia, pure la più lucida e spietata consapevolezza, si falsifica e si nullifica, ingabbiata anch’essa in qualche categoria, quella dell’intellettuale odioso, del professorino che pretende di farci la lezione, dell’uomo studiato che la vita vera la ignora a prescindere.
Nella condanna estrema – sempre seguendo il filo pasoliniano – di essere “forza del passato”, di essere rivoluzionari nell’idea che “solo nella tradizione è il mio amore”, nella desolante constatazione di come sia “irreale ogni idea” e “irreale ogni passione di questo popolo ormai dissociato da secoli”.
Amen.

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *