La Buona Scuola (due parole sincere, senza ipocrisie)

Lasciamo stare i sindacati. E lasciamo stare le ideologie.
Decido di rispondere qui, il più sinceramente possibile a tante domande sulla riforma scuola che tanto sta facendo discutere questi giorni, e a tante critiche piovute addosso all’intera categoria degli insegnanti, senza la pretesa di rappresentare il mondo della scuola, ma con la semplice umiltà di portare il mio solo punto di vista, il punto di vista di chi la scuola la vive dal di dentro da dieci anni ogni santo giorno. Il punto di vista di un insegnante di lettere appassionato e innamorato del lavoro che fa.
Procediamo.

1) Prof. Lestini, lei è contro “La Buona Scuola” perché è contro Renzi, contro il PD e contro il Governo?
No, assolutamente. La mia contrareità al governo, a Renzi e al PD è indubbia e strutturale, ma nello specifico non incide in alcun modo nel mio giudizio sulla riforma. In passato ho salutato con favore provvedimenti sulla scuola che arrivavano da parti politiche con cui ero in guerra quotidiana, così come ho contestato duramente altri provvedimenti presi da fazioni che sostenevo con forza. So scindere le due cose, la mia storia di invididuo lo dimostra ampiamente.

2) Allora Prof. lei è contro “La Buona Scuola” perché la danneggia personalmente e intacca i suoi privilegi?
Neanche per sogno, anzi, addirittura questa riforma forse forse andrebbe a favorire la mia situazione personale. A favorirla in maniera sostanziale. Mi spiego. Io, dopo nove anni di precariato nella scuola, sono entrato in ruolo e a tempo indeterminato lo scorso 01/09, di conseguenza – riforma o non riforma – il mio contratto di lavoro resta quello “vecchio”, vale a dire che le modifiche contrattuali introdotte dalla riforma non mi riguardano, tranne che per due cose: mobilità e scatti stipendiali. Ma nel primo caso, io sono titolare di una cattedra a circa 50 minuti di treno regionale da casa mia, un pendolarismo assolutamente sostenibile. Tradotto: anche se cambiano le regole dei trasferimenti, io posso rimanere lì a vita, in una situazione di relativa comodità rispetto alla “mobilità nazionale” paventata dalla riforma. Nel secondo caso, io sono un “giovane” docente. Ergo, prima che diventino effettivi per me gli scatti di anzianità attuali, trascorrerebbe più o meno un decennio. Ma la riforma prevede aumenti di stipendio anche sulla base del merito, quindi “scatti” di cui qualcuno potrebbe beneficiare ben prima della naturale anzianità di servizio maturata. Visti i parametri sul merito indicati dalla riforma (partecipazione alla vita scolastica, coordinamento delle classi, valutazione diretta degli alunni e delle famiglie sul proprio operato), ho calcolato che – visto il mio curriculum – il mio stipendio aumenterebbe di colpo.

3) Ma allora Prof, lei perché è contro “La Buona Scuola”?
Rispondo in generale: a) è fumosa, cioè fornisce solo indicazioni senza specificare come intende realizzare i singoli punti; b) è un coacervo di contraddizioni; c) non ha una linea chiara; d) è falsamente innovativa; e) è peggiorativa.

4) Prof, ci spieghi però dettagliatamente il perché di queste affermazioni. Partiamo dalla questione più discussa, quella dei poteri attribuiti al Dirigente Scolastico. Cosa c’è che non va in questo?
Questa proposta anzitutto è fumosa perché dice il cosa ma non spiega il come. In soldoni: i presidi selezionano direttamente il personale docente. Ok, ma come? Cioè, come avviene questa selezione? La proposta dice “tramite albi regionali”. Benissimo, ma con che criterio sono compilati questi albi? Quando saranno compilati? Chi decide quale dirigente “sceglie” per primo? E i docenti vincitori di concorsi futuri non selezionati da nessuno, con quali criteri vengono assegnati alle scuole? In sostanza: ogni estate avviene una sorta di “calciomercato” come con i giocatori? I provveditorati provinciali che fine fanno? Se il piano di “compravendita” dei docenti si svolge su base triennale, e di conseguenza anche il Piano di Offerta Formativa delle scuole va mutato da annuale a triennale, questo piano quando lo si fa? È consapevole il governo – che vuole rendere esecutiva la riforma per il prossimo 1 settembre – che a tutt’oggi le scuole non sono minimamente attrezzate per tutto questo? Sono domande semplici, anche un po’ stupide, ma che non riescono ad avere risposta da chi la riforma l’ha scritta e da chi la promuove.
È contraddittoria per vari motivi. Si vorrebbe con questo provvedimento garantire più efficienza ai singoli istituti. Come se si affermasse non troppo velatamente che l’oggettivo incancrenimento della scuola sia tutto causato dal lassismo dei professori, mentre i Dirigenti Scolastici, una volta dotati di più ampi poteri, porrebbero fine al lassismo di cui sopra garantendo grazie alla loro specifica professionalità un funzionamento corretto della macchina dell’istruzione. Inoltre, si vorrebbe con la figura del “Super Preside”, inaugurare la stagione dell’autonomia scolastica. Si dimenticano alcune questioni fondamentali. Anzitutto, si vuole rimodellare la Scuola a immagine e somiglianza di un’azienda? Benissimo, facciamolo. Ma ricordiamoci che i Dirigenti Scolastici non sono né manager né imprenditori. Cioè, hanno una formazione che non corrisponde minimamente a tali figure professionali. Siamo sicuri che funzioni attribuirgli simili responsabilità? Secondo: Renzi e la Giannini pretendono di aver inventato l’autonomia. Ma quando mai? L’autonomia è già stata introdotta, avallata e resa LEGGE già diverse “riforme fa”… è dalla Berlinguer-Martinotti del ’98 che esiste l’autonomia, potenziata poi dalla Moratti e dalla Gelmini. Vale a dire che già adesso ogni istituto, sia nei piani formativi proposti sia soprattutto nel reperimento e nella gestione delle risorse economiche, FUNZIONA AUTONOMAMENTE. Reperimento e gestione delle risorse già adesso sono IN MANO AI DIRIGENTI SCOLASTICI. Come a dire che, se vi lamentate della mala organizzazione di una scuola, la responsabilità, oggi, è PRINCIPALMENTE dei Dirigenti, quelle stesse figure indicate come “salvatori della patria”.
Noi tutti, Presidi, docenti e personale non docente, siamo FORMATI per un tipo di lavoro COLLEGIALE. Si vuole ribaltare la scuola come un calzino? Benissimo, ma NOI ABBIAMO BISOGNO DI AGGIORNAMENTO, abbiamo bisogno di linee guida su come comportarci in questa “struttura di domani” di cui non conosciamo le coordinate. Perché non ci vengono spiegate?
Non ha una linea chiara. Più poteri ai presidi, perché? Per una maggiore efficienza? Per un maggior controllo sugli operati degli insegnanti? Siamo sicuri? Ok, siamo sicuri. Chiediamoci allora almeno perché le prime modifiche proposte dal Governo a seguito della mobilitazione di piazza, siamo le seguenti: a) limitazione del potere ai presidi, che non valuteranno singolarmente i docenti, ma assieme a un comitato composto da DIECI superdocenti (ovviamente con un sostanziale aumento di stipendio), da DUE ALUNNI e da DUE GENITORI (che lo faranno chiaramente gratis); b) aumento dello stipendio dei Presidi. Io lo ribadisco: discuto serenamente su tutto… ma mi sfugge il senso, la visione d’insieme della scuola che questa riforma vorrebbe proporre.
Falsamente innovativa. Vedi quanto detto prima sull’autonomia. Ma anche la “chiamata diretta” non è una novità: avveniva, per le supplenze, fino a venticinque anni fa. Quanti casi di “nepotismo” produsse quel vecchio sistema? Quanti ne produrrà questo revival? Quanti conflitti d’interesse vengono ad accumularsi tra Dirigente e comitato di superdocenti?
Peggiorativa. Con tutti i loro limiti e le loro contraddizioni, le Graduatorie almeno un merito ce l’hanno: GARANTISCONO TRASPARENZA, posso monitorarle in ogni istante (io docente ma anche un genitore) e mi assicurano una corretta politica delle assunzioni. Questa trasparenza con l’abolizione delle graduatorie SPARISCE.

5) Però vengono assunti 100mila precari. A questo non ci pensa prof?
Proprio l’assunzione dei 100mila per me è l’aspetto più assurdo. Anzitutto, perché si assumono? Se la “politica” (intensa non come parte politica, ma come visione d’insieme del tutto) fosse quella di porre finalmente fine al precariato storico della scuola, alla “supplentite” come la chiama Renzi, allora il piano di assunzioni sarebbe pluriennale. Ricordiamoci che i precari non sono 100mila, ma 300mila. E sia chiaro: 300mila precari prodotti da norme, decreti, riforme e provvedimenti degli ultimi vent’anni che si sono contraddetti a vicenda fino a creare qualcosa come cinque o sei graduatorie differenti: c’è chi ha vinto il concorso del ’99, chi ha vinto quello del 2012, chi ha preso l’abilitazione con le SSIS, chi con il TFA, chi con i PAS, chi ha maturato oltre 36 mesi di supplenza su posto vacante… tutta gente che – indipendentemente dalle proprie capacità di insegnante – i titoli almeno per “provare ad insegnare” se li è sudati con esami su esami, corsi pluriennali, soldi spesi e via dicendo. Nessuno tra questi 300mila ha, in sostanza, più diritto degli altri a essere assunto. Questa riforma invece decide ARBITRARIAMENTE di prenderne 100mila e di ANNULLARE i titoli degli altri 200mila, dicendo ai “tagliati fuori” che dovranno “provare a essere assunti” con un ulteriore concorso. Vi sembra una cosa accettabile dire a chi HA VINTO UN CONCORSO che deve essere sottoposto ad ALTRO CONCORSO? Sorge il sospetto che la politica delle assunzioni risponda ad esigenze altre che con il miglioramento della scuola hanno ben poco da spartire. Sorge il sospetto che si unisca un numero roboante (100mila) da spendere in termini elettorali al saldo richiesto dall’Europa per porre un freno al precariato.
Ma nel discorso dei 100mila c’è anche di più, se possibile. Siccome al momento 100posti NON CI SONO (e non è MAI stato fatto in tutti questi mesi l’annunciato e sbandierato censimento), la riforma prevede che sia l’autonomia a crearli, con il cosiddetto ORGANICO FUNZIONALE. Che cos’è? Ogni scuola decide triennalmente le FUNZIONI di cui ha bisogno: ad esempio un tot numero di supplenti, un tot numero di insegnanti di recupero, un tot numero di insegnanti di corsi pomeridiani (musica, teatro, scrittura creativa, fotografia, ecc… ). Chiaro come il sole che se io assumo triennalmente un docente come “insegnante funzionale”, lui da contratto deve svolgere un tot numero di ore, ma io non posso stabilire a priori, ad esempio, quante ore di supplenze saranno necessarie. Allora, dice la riforma, si creerà una RETE DI SCUOLE, cioè il docente funzionale non sarà assunto dal singolo istituto, ma da più istituti che se lo scambieranno durante l’anno a seconda delle esigenze. Ai genitori sta bene tutto questo? Cioè, faccio per dire, sta bene che un insegnante che segue il figlio al corso di recupero debba interrompere di colpo il suddetto corso per andare a fare il supplente in altro istituto dove un docente si è appena ammalato? Vi sta bene o sembra anche a voi una follia?
Infine. Non c’è solo il problema delle funzioni, ma anche quello delle materie. Siccome non c’è mai stato un reale censimento, i 100mila posti non sono calcolati sul reale fabbisogno. Per puro esempio: in questi 100mila ci sono, faccio per dire, 20mila insegnanti di italiano e 2mila di storia dell’arte. I posti liberi di italiano sono 19.500 e quelli di storia dell’arte 1.500. Come si fa? Grazie all’autonomia il preside può assumere un docente SU UNA MATERIA DIFFERENTE A QUELLA DI ABILITAZIONE. Cioè, un insegnante ABILITATO PER STORIA DELL’ARTE può essere mandato a INSEGNARE ITALIANO. È questa l’autonomia? A voi genitori, ripeto, sta bene?
C’erano una volta 300mila precari in possesso dei titoli per essere assunti in ruolo.
Oggi ne vengono assunti 100mila e si annullano i diritti acquisiti negli anni degli altri 200mila.

6) Eppure Prof il governo ha previsto un massiccio investimento sulla scuola…
Senz’altro. Ma vi siete chiesti dove vanno questi soldi? Vanno negli aumenti di stipendi (Dirigenti, Comitati di Valutazione, nuove assunzioni). Come facciamo la “didattica laboratoriale”, come li prepariamo gli studenti a fare stage e tirocini se non ci sono soldi per dotare le scuole di adeguate apparecchiature tecniche e informatiche? Come la innoviamo la didattica senza strutture?
Sempre a proposito di soldi. Che senso ha la “Carta del Professore”? Questi 500 euro l’anno che il governo vuol dare a ogni singolo docente per l’acquisto di libri, l’ingresso alle mostre… Ma stiamo scherzando? I libri di testo NOI INSEGNANTI NON LI ABBIAMO MAI PAGATI. Alle mostre entriamo GIA’ GRATIS O CON RIDUZIONI. A cosa servono questi 500 euro? A ridare dignità alla figura del professore? Oppure sono un inutile spreco di denaro pubblico utile solo a dare un contentino a una categoria in fibrillazione?
Sempre a proposito di soldi. Che senso ha l’idea di dare il 5xmille ai singoli istituti? Vi rendete conto che ogni scuola ha una precisa utenza “sociale” e che quindi ci sono istituti che riceveranno fior di finanziamenti da famiglie abbienti e istituti disgraziati che non beccheranno un centesimo? E che di conseguenza ci ritroveremo con scuole d’eccellenza e scuole ghetto?
Sempre a proposito di soldi. Che senso ha lo SGRAVIO FISCALE PER LE FAMIGLIE CHE ISCRIVONO I FIGLI NELLE SCUOLE PRIVATE? Io sono per la libertà di scelta (ma ricordiamoci che non siamo un paese anglosassone, lo sappiamo cosa vuol dire da noi “scuola privata”, io almeno lo so, visto che ci ho insegnato), quindi ognuno è libero di mandare i propri figli dove vuole. Ma perché dovrebbe essere agevolato dallo Stato chi sceglie di non servirsi dello Stato? Che senso ha questa concessione?
C’era una volta una scuola senza soldi.
Oggi i soldi sono stati trovati e non si investono nelle strutture.

7) Però sembra quasi che ogni occasione sia buona per contestare. Non vi sta bene niente, nemmeno le Prove Invalsi…
Per carità, non facciamo confusione. Circa le Prove Invalsi è la Giannini ad aver fatto confusione. Ha preso la polemica, lo sciopero e il “boicottaggio” come una cosa personale, o meglio, l’ha presentata come un ulteriore attacco all’operato del ministero. È stata una presa di posizione strumentale. Le Prove Invalsi con la Buona Scuola non c’entrano niente. Sono anni che va avanti questo discorso, anni cioè che va avanti la polemica circa questo genere di prove, più o meno dal ’98, ai tempi della già citata riforma Martinotti-Berlinguer. In questo caso non si contesta certo la Buona Scuola, ma due elementi insiti nel più ampio progetto di cui gli Invalsi fanno parte: impoverimento del sapere e – di nuovo – contraddizione di fondo. Mi spiego: impoverimento del sapere in che senso? Nel senso che io insegno Lettere, materia dialogante e dialogata, intedisciplinare, somma di più punti di vista, approfondimenti e via dicendo… come posso accogliere positivamente dei test di valutazione che riducono il mio lavoro a una serie di crocette? L’avete mai visto un test Invalsi? A voi sembra una cosa dignitosa? Ma l’Invalsi non è che uno degli aspetti di questo discorso. Anche la sostituzione del Tema classico con le Tipologie della Prima Prova si sono mosse a suo tempo in questa direzione. Personalmente ritengo che per insegnare a scrivere il tema classico fosse un ottimo strumento, mentre impostare il percorso scritto sulle tipologie va a impoverire le capacità di scrittura dei ragazzi (parlo con cognizione di causa, ho le prove concrete tutti i giorni sotto gli occhi). Ma se questa è stata la decisione presa dai governi precedenti, io non posso far altro che adeguarmi (infatti sciopero contro l’Invalsi, contro un qualcosa già legge da anni, non l’ho fatto). Tuttavia non posso fare a meno di rimarcare una contraddizione di fondo: Invalsi e via dicendo hanno senso se accompagnate da una revisione generale della didattica. Cioè, se vogliamo fare prove “anglosassoni”, allora cambiamo anche la didattica. Invece no. Abbiamo introdotto test di valutazione che sono in contraddizione totale con la didattica italiana, tuttora intatta nelle linee guida del ministero. Ci chiedono in sostanza di insegnare in un modo e di valutare in un altro. Poi si dice: i risultati degli Invalsi sono disastrosi. E come poteva essere altrimenti?

8) Insomma Prof… questi insegnanti allora hanno sempre ragione e sono intoccabili?
Ma non diciamo eresie! Gli insegnanti DEVONO essere messi in discussione, DEVONO essere monitorati e valutati, DEVONO essere contestati se ce n’è bisogno. Ma facciamolo con criterio. E soprattutto con sostanza e cognizione di causa. Io personalmente NON ACCETTO di passare da fancazzista, scioperato e perdigiorno. Sono accuse ingenerose che rispedisco con forza ai mittenti. Io NON SONO un dio sceso in terra baciato sulla fronte dall’aurea sacra del sapere, infallibile e incontestabile, ma non sono nemmeno un cretino che si trova in cattedra per caso. Sono un PROFESSIONISTA QUALIFICATO, che si trova in cattedra perché ha superato delle prove specifiche, che ha fatto anni di gavetta e ha preso altrettanto specifiche abilitazioni per svolgere questo mestiere. Esigo rispetto per questo. Per la laurea che ho, che di certo non ho preso con i punti della Coop. Per la scuola di abilitazione che ho superato, che di certo non è stata una “formalità”. Per il concorso pubblico che ho vinto, che di certo non è avvenuto per conoscenze e raccomandazioni. A sentire le critiche, pare chiunque attualmente possa diventare insegnante, pare sia semplicissimo. Si ignora completamente il lungo percorso di abilitazione e precariato che questa professione comporta, di certo senza pari in tutto il settore pubblico.
Certo, io vivo la scuola quotidianamente. E dico che le critiche, almeno molte di esse, verso gli insegnanti, le capisco. Le condivido anche. Ci sono senza dubbio molti “cattivi insegnanti”, insegnanti che si adagiano e lavorano male, poco e controvoglia. Insegnanti che sanno solo lamentarsi dei ragazzi, che provano un gusto perverso a metterli continuamente in difficoltà, a rendere il percorso scolastico un autentico inferno, incapaci di andare al di là delle proprie spicciole competenze sulla materia, che non sanno appassionare, non sanno coinvolgere, non riescono a svolgere un percorso collegiale assieme agli altri colleghi, se ne fregano delle regole e del buonsenso.
Tutto vero, ma queste critiche non possono né essere onnicomprensive (cioè non possono sparare a zero su tutta la categoria e nemmeno sulla maggior parte di essa) né possono al tempo stesso LIMITARSI a essa. In che senso? Nel senso che si ripete sempre “la scuola non è solo degli insegnanti, è anche e soprattutto delle famiglie”.
Benissimo, concordo in pieno. Anzi, questo slogan lo inciderei a caratteri d’oro sulla porta di tutti gli istituti. Ma non lasciamo appunto che sia solo uno slogan, traduciamolo nei fatti. Ad esempio, è facile sparare a zero sui cattivi insegnanti, ma dei cattivi genitori cosa diciamo? Non sto parlando dei genitori snaturati che abbandonano i figli, li picchiano, li seviziano e via dicendo.
Parlo di quei genitori per cui i figli hanno SEMPRE ragione. Quei genitori per cui la scuola ha SEMPRE torto. Quei genitori che non si fanno mai vedere ai colloqui e poi spuntano fuori a dieci giorni dalla fine della scuola PRETENDENDO che il figlio sia promosso. Quei genitori che contestano A PRESCINDERE un brutto voto. Quei genitori che mandano a scuola FIGLI DI DIECI ANNI con lo SMARTPHONE super accessoriato senza preoccuparsi di ricordargli che è SOLO PER EMERGENZA, che a scuola IL TELEFONO NON SI USA. Quei genitori che non hanno educato i figli all’importanza dell’apprendimento, della lettura e PRETENDONO CHE SIA SOLO LA SCUOLA A SPIEGARGLI COSA SIA UN QUOTIDIANO, UN LIBRO. Quei genitori che se il figlio copia durante una prova scritta gli dicono BRAVO. Quei genitori che se il figlio viene sanzionato perché gioca con il cellulare durante la lezione, minacciano di denunciare l’intero edificio scolastico. Quei genitori che TELEFONANO AI FIGLI SULLO SMARTPHONE DURANTE LE ORE DI LEZIONE. Ma sapete quante volte capita che un ragazzo chieda di uscire di classe perché il padre o la madre LO STANNO CHIAMANDO?
Vogliamo una scuola di tutti e per tutti? Benissimo, COSTRUIAMOLA. Però dobbiamo COLLABORARE.
Io non posso, contemporaneamente, essere un bravo insegnante, competente sulla materia e sulla psicopedagogia adolescenziale e al tempo stesso combattere contro la mala educazione strutturale, combattere contro internet e i telefonini DA SOLO. È una lotta impari. Rischio di perdere ogni giorno.

9) Prof, ma in conclusione? Cosa si deve fare?
Io non posso avere, da solo, la soluzione. Però qualche suggerimento ce l’avrei.
a) Combattiamo i cattivi insegnanti, ma facciamolo seriamente. Anzitutto, benissimo, valutiamo il loro operato su base triennale ma in maniera COLLEGIALE, un collegio cioè non composto dalla sola scuola (il corporativismo è inutile e dannoso), ma un collegio INTERNO ed ESTERNO. Nessun buon insegnante contesterebbe questa cosa, nessuno che svolge seriamente e onestamente il proprio mestiere ha paura di essere valutato.
b) Previamo il cattivo insegnamento. Anzitutto, riduciamo il periodo di formazione e abilitazione: inutili anni di scuole di specializzazione e inutili e frustranti anni di precariato. La formazione serve, ma deve essere tradotta immediatamente nella pratica. Tradotto: solo insegnando si capisce se si è in grado di farlo. Però facciamo un TIROCINIO SERIO. Oggi quando un insegnante viene immesso in ruolo, deve affrontare un ANNO DI PROVA, un anno cioè in cui un comitato VALUTA LA SUA IDONEITA’ all’insegnamento. Un’autentica BUFFONATA STRUTTURALE. Nel senso, personalmente il mio “anno di prova” si è svolto dopo NOVE ANNI DI PRECARIATO. Quando ho iniziato il mio anno di prova, avevo già alle spalle oltre 500 STUDENTI. Un po’ tardi per valutarmi, no? Potenzialmente io avrei già distrutto diverse generazioni. Allora facciamo concorsi abilitanti. Poi, chi li supera, entra in un periodo di “prova” che – parlo delle scuole superiori – duri TRE ANNI SCOLASTICI, tre anni invece che il precariato decennale nel corso dei quali il neo docente cambia TRE SCUOLE: un liceo, un tecnico e un professionale. Perché se si vuole insegnare si deve avere un quadro completo della “società dei ragazzi”. E i ragazzi di un liceo NON SONO quelli di un professionale. Esistono i grandi licei rinomati, frequentati da ragazzi generalmente strutturati e già scolarizzati. Ma esistono anche i professionali di frontiera, dove quotidianamente si devono fronteggiare situazioni di estremo disagio sociale, abbandoni, arresti domiciliari, gravidanze precocissime, storie tragiche a ripetizione. Sono esperienze che un insegnante HA L’OBBLIGO DI FARE.
c) Pretendiamo che LE FAMIGLIE SIANO PRESENTI. Che vivano DAVVERO la scuola. Facciamo PATTI FORMATIVI, COLLABORIAMO, COINVOLGIAMO LE FAMIGLIE NEI PERCORSI DIDATTICI.
d) Portiamo nella scuola ATTUALITA’ e TECNICA. Cambiamo i programmi, ma per farlo dobbiamo INVESTIRE NELLE STRUTTURE. Non negli stipendi, non nelle carte dei professori… NELLE STRUTTURE.
e) Facciamola INSIEME la riforma. Veramente insieme. Se il governo dice che ha ascoltato gli insegnanti, MENTE. Ci hanno solo fatto compilare un questionario on line (tra l’altro facoltativo) in cui ci chiedevano il nostro indice di gradimento su proposte già confezionate. Mi sembra una presa in giro clamorosa.
f) Renzi vuole RIVOLUZIONARE la scuola? Magari, non aspetto altro. Però attenzione: le rivoluzioni, specie quelle “frettolose”, di solito finiscono con il sangue delle ghigliottine. Meglio andare piano, avere la pazienza di ascoltare e confrontarsi, metterci più tempo ma CAMBIARE REALMENTE LE COSE piuttosto che ribaltare le cose in due mesi per lasciare soltanto scie di sangue.
g) Riformiamo con un PROGETTO COERENTE, con una VERA VISIONE D’INSIEME DELLA SCUOLA DEL FUTURO. Ma quale visione d’insieme? Io un’idea ce l’ho, da sempre: UNA SCUOLA A MISURA DI STUDENTE, con lo STUDENTE, e non con il professore, al centro. Lo studente, le sue inclinazioni, i suoi tempi, le sue aspirazioni, le sue capacità. Attenzione, anche il governo dice che “la scuola è degli studenti”. Ma il testo della riforma lo avete letto? Se sì, vi sarete accorti che IN NESSUN ARTICOLO SI MENZIONANO DIRETTAMENTE GLI STUDENTI. I miei punti di riferimento sono Maria Montessori e, soprattutto, don Lorenzo Milani. Visioni di scuola che penso, almeno spero, gli operatori della scuola e del ministero conoscano molto bene. Strano che a nessuno di coloro che sbandierano come la scuola “sia degli studenti” sia venuto in mente di (ri)leggerli.
Oggi come oggi, che lo studente trovi una scuola a sua misura è pura questione di fortuna.
Facciamo in modo che diventi la regola, e non l’eccezione.
Perché, se oggi come dieci anni fa, mi si chiede perché amo l’insegnamento rispondo sempre nello stesso modo: perché amo i miei studenti.

Grazie dell’attenzione,
RL

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