Tempo che passa

Nei tantissimi e giganteschi misteri che affollano paurosamente la recente storia d’Italia (piazza Fontana, Calabresi, Moro, Bologna, Ustica… ), più dei depistaggi, delle indagini a vuoto, delle verità di comodo costruite a tavolino, il vero e assoluto protagonista è il tempo che passa.
O meglio, del tempo lasciato passare.
Panacea per eccellenza, il tempo che passa anestetizza l’indignazione, quieta l’opinione pubblica, cancella l’evidenza, permette ai testimoni più scomodi di morire di morte naturale e senza strepiti, ammorba e annienta logica e intelligenza, porta oblio e disinteresse. Confonde le acque e permette di affastellare le più vertiginose e improbabili ipotesi dandogli parvenza di possibile, così che nessuno sappia più nemmeno dove cercarla, la verità.
Nel caso di Emanuela Orlandi, il tempo che passa conta 35 anni, 4 mesi e una manciata di giorni.
Un tempo infinito eppure perfettamente in linea con tutti gli altri misteri. Un tempo in cui si è detto tutto e il contrario di tutto e in cui, soprattutto, a cadenza regolare sono stati annunciati gli scoop più mirabolanti (i Lupi Grigi, i servizi segreti bulgari, la Stasi… ), tutti palesemente falsi, in una logica a dir poco spietata: quando dietro a un avvenimento c’è qualcosa di grosso e indicibile, la soluzione è far passare il tempo, perdere tempo sparando qualcosa di ancora più grosso, ma totalmente fasullo.
Sulla pelle della Orlandi – e dei suoi familiari – si è praticato così tanto un sadico e perverso “al lupo al lupo”, che difronte al ritrovamento delle ossa nel palazzo della Nunziatura è quasi impossibile dire qualcosa di sensato, tanto il tempo ha ingarbugliato la matassa.
Potrebbe essere l’ennesimo depistaggio, l’ennesimo, forse ultimo, capolavoro di tempo che passa in attesa dell’uscita di scena degli ultimi tenaci cercatori di verità.
Se invece quelle ossa fossero veramente della Orlandi e se su di esse fosse veramente scritta la verità, lo stesso è bene non illudersi.
Ricordiamoci che in maniera del tutto analoga (sempre un casuale lavoro di ristrutturazione, un muro tirato giù da un ignaro lavoratore) nel 1990 spuntarono fuori le carte integrali del cosiddetto “Memoriale Moro”.
E su quelle carte c’era – c’è – la verità. Eppure anche in quel caso si è innescato il meccanismo del tempo che passa, delle bombe fasulle fatte brillare per occultare quelle reali.
C’è da scommettere, e senza la pretesa di vincere qualcosa, che qualora le ossa risultino proprio quello della Orlandi, accadrà la stessa identica cosa.

In settimana, implacabili come sempre, si sono palesati gli ultimi dati in termini di occupazione nazionale.
Crescono, e non poco, i contratti a termine e crollano quelli a tempo indeterminato.
Dietro le percentuali nude e crude, un’altra storia di tempo che passa. Tempo che passa e non ritorna. Tempo strappato via, rubato alle esistenze di un numero abnorme di persone. Tempo rubato ai progetti a lunga scadenza, alla vita tranquilla, alla possibilità di costruire.
Tempo che passa nella precarietà perpetua.
Tempo lasciato passare affinché si mettano toppe e nessuno pensi che l’unico modo per restituire tempo perduto è creare stabilità.

Infine, 100 anni esatti dalla fine della grande guerra. Un secolo.
In questo caso il tempo che passa dovrebbe essere quello necessario alla definitiva storicizzazione dell’evento, a fare in modo che ricorrenze, celebrazioni e riflessioni in merito avvengano nella serenità e nella piena consapevolezza di dati ormai acquisiti e metabolizzati.
Dovrebbe, per l’appunto.
Ma anche in questo caso il tempo che passa serve a cancellare la storia, o quanto meno a mortificarla e a negarne la scientificità.
Così il secolo che passa non porta dati certi né riflessioni degne di questo nome. Porta chiacchiere e, soprattutto, porta l’ennesimo pretesto per scatenare teatrini di divisione pseudo politici e pseudo ideologici.
In barba alla verità, ovviamente.
Col risultato che è impossibile parlare della guerra come follia senza passare per disfattisti, anti italiani e anti patriottici, impossibile parlare di sacrificio senza passare per fasciati reazionari.
Col risultato che della grande guerra, quella vera, non importa niente a nessuno.
In fondo, è solo tempo che passa.

#ilBollettinoDelLunedì
#laSettimanaResistente
#resistenzeRiccardoLestini

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