Un paese civile (una riflessione di fine anno)

Ogni volta che sento parlare di Unioni Civili mi viene da ridere. Amaramente, ma mi viene da ridere. Non riesco davvero a capire dove, come e perché ci debba essere una discussione, dove, come e perché una simile questione possa essere trascinata così a lungo e procurare dibattiti così feroci.
Secondo il mio modesto parere, infatti:
– un paese civile non è che dovrebbe affrontare il problema delle coppie omosessuali… un paese civile non se lo dovrebbe nemmeno porre, questo problema, poiché dovrebbe pensare alle persone a prescindere dal loro orientamento sessuale… senza pensare a “tollerare” o ad “aprirsi”, dovrebbe semplicemente riconoscere a chiunque il diritto a unirsi civilmente e a beneficiare di tutti quei diritti che spettano in maniera sacrosanta a due persone che quotidianamente condividono casa, progetti, vita…
– forse qualcuno sa cose che io ignoro, ma non riesco proprio a capire quale “sconquasso sociale” possano produrre matrimoni civili tra persone dello stesso sesso…
– un paese civile non dovrebbe nemmeno usare l’espressione “famiglia tradizionale”, poiché se ammettiamo l’esistenza di una simile istituzione come unico sistema educativo vigente – vale a dire un nucleo composto da padre-madre-figli – allora automaticamente dovremmo impedire divorzi, separazioni, assenze di riconoscimento e, ovviamente, anche i decessi nelle coppie eterosessuali…
– un paese civile come metro delle adozioni dovrebbe usare la condizione economica, l’età, l’equilibrio mentale e il sincero amore per l’esperienza genitoriale, non il sesso dei richiedenti…
– un paese civile, in conclusione, dovrebbe dire NO non ai matrimoni gay, ma semmai alla questione dell’utero in affitto… solo pensare al corpo di una donna come a una slot machine da riproduzione c’è da ripiombare in un secondo nel medioevo, altro che progresso….

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