Non siamo mica gli americani

Le tornate elettorali a stelle e strisce, siano le presidenziali o le elezioni di medio termine, continuano a infiammare i dibattiti nostrani. Il che sarebbe anche normale, visto – lo si voglia o no – il ruolo determinate che politica ed economia degli States giocano sopra i nostri destini.
Il problema è che qui, dalle parti del tricolore, si dibatte, ci si accapiglia, ci si insulta, si lanciano sfottò e si esulta traducendo alla lettera numeri e candidati americani in termini italiani.
Eppure prima o poi bisognerà farsene una ragione e rassegnarsi al fatto che NON siamo noi a votare in America, che se Trump tiene botta la Lega NON è necessariamente più forte e se i democratici si prendono più della metà del Congresso NON sta rinascendo il PD.
Che poi poi il mito americano io lo capisco: vuoi mettere il coast to coast con la Fano-Grosseto? Però, e lo dico e lo scrivo più o meno da vent’anni, mettetevi il cuore in pacer: come cantava il Vasco delle origini “non siamo mica gli americani” (che loro possono sparare agli indiani… ).

Lasciando quindi stare i sogni di California, da queste parti il dibattito politico ha messo in primo piano per tutta la settimana questioni serissime, tipo la fine della love story Isoardi-Salvini. Tutte le discussioni in merito, presenti più o meno in ogni dove, le hanno chiamate “approfondimenti”. Con annesso l’exploit del bambino di nove anni che ha dedicato un tema al ministro degli interni definendolo suo eroe assoluto e che Salvini, ovviamente, ha postato integralmente su Facebook e Twitter. Come a dire mollami pure, femmina ingrata, intanto io nell’immaginario delle elementari sorpasso in un sol colpo Cristiano Ronaldo e Fabri Fibra. Altro che petaloso.
A mettere un freno sulle beghe della camera da letto del leader leghista è arrivata la sentenza su Virginia Raggi. Assolta. Ma siccome una discussione sul processo e sulla sua conclusione sembrava troppo fuori contesto (e forse troppo in generale), i supporters dell’assolta hanno pensato bene di mantenere fede al clima generale vomitando insulti verso i giornalisti. Che Di Battista, preoccupandosi che il concetto non fosse sufficientemente chiaro, ha definito senza troppi indugi (e senza troppi distinguo) “puttane”.
Poi certo, magari qualcuno sostiene che anche gli insulti vanno contestualizzati e che “puttane” va inteso in un certo modo. Ciò non toglie che quando si parla da certi livelli e da certe posizioni di rappresentanza, sarebbe quanto meno auspicabile una certa cura nel soppesare le parole e una certa attenzione nel capire quali conseguenze possano scatenare certe espressioni. E al di là di cosa volesse o non volesse intendere Di Battista, tra ieri sera e oggi ho contato almeno cento post in cui giornalistE (la maiuscola non è un refuso) di ogni ordine e orientamento, in nome della ghigliottina istantanea per i “pennivendoli”, vengono sommerse di insulti. E sono insulti che non c’entrano davvero nulla con la loro faziosità né con la loro capacità di scrivere.

Che poi sarebbe da chiedersi, visto il clima ma non solo, quanto conti e a cosa serva saper scrivere, a cosa serva e se serva ancora a qualcosa la comunicazione scritta.
Ma il discorso aprirebbe una voragine e le righe a disposizione per il bollettino sono già finite.
Perciò, a sorpresa, chiudiamo con una ventata di ottimismo: il Pisa Book Festival, ovvero una delle kermesse più importanti della piccola editoria indipendente, ha chiuso ieri i battenti registrando il record di presenze.
Un raggio di sole e una timida speranza in questa coltre di grigio che non smette di ammorbarci.

#ilBollettinoDelLunedì
#laSettimanaResistente
#resistenzeRiccardoLestini

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