Quando a stuprare sono le parole

La brutta, bruttissima storia della denuncia per violenza sessuale fatta da due ragazze americane contro due carabinieri alla fine dell’estate scorsa a Firenze, è tornata a far parlare di sé nelle ultime settimane, con la chiusura delle indagini e la pubblicazione degli interrogatori, tanto quelli delle studentesse quanto quelli dei militari.
Dopo quelli mediatici adesso arriverà il processo reale, di cui purtroppo si parlerà molto meno o addirittura non si parlerà per niente, ma sarà in quella sede che si accerteranno dinamiche, colpe e responsabilità, in quella sede che verrà stabilita la verità ufficiale. In sostanza la giustizia farà il suo corso, come si dice e come è giusto che sia.
Detto questo va da sé che il comportamento dei due carabinieri sia gravissimo e colpevole a prescindere, indipendentemente da come siano andate le cose, visto che al momento dell’accaduto erano nel pieno esercizio delle loro funzioni di pubblici ufficiali.
Così come va da sé che sarebbe assurdo (come in parte purtroppo già accaduto), in virtù di questo, puntare il dito contro l’arma nel suo complesso, mettere alla gogna e gettare discredito sulle forze dell’ordine in quanto tali.
Con tutto che, come sempre accade, dare la colpa a tutti equivale a non colpevolizzare nessuno.
E in questa orrenda faccenda, pur in attesa del processo e della relativa sentenza, colpe e colpevoli ci sono senz’altro.
Di sicuro è colpevole, tremendamente colpevole, la morale pubblica, quella morale biecamente benpensante sempre pronta a giudicare, ad aggredire, quella morale subdola e misera che gode delle debolezze altrui per sentirsi migliore e assolversi dalla propria mediocrità e dal proprio grigiore.
Colpevole quel pensiero di cui ancora siamo assurdamente schiavi, convinto che due ragazze ubriache uno stupro se lo vadano a cercare, così come se lo vadano a cercare due ragazze vestite in maniera succinta, che ballano muovendo troppo i fianchi, che troppo ancheggiano nel camminare. Che non solo se lo vadano a cercare, ma quasi quasi se lo meritano. Perché l’uomo è cacciatore, è predatore, una sorta di cinghiale inferocito fatto di solo istinto che non può resistere né contenersi di fronte a simili “provocazioni”. Perché la sua indole di maschio giustifica ogni sua atrocità.
Colpevole questo maschilismo, strisciante e violento, presente in ogni dove nell’aria che respiriamo.
Sarebbe quasi rassicurante pensare che tanta miseria, che ci tiene ancorati in un clima perenne da anni cinquanta, abbia nell’arena impazzita e feroce dei social il suo principio e la sua fine. Il problema è che tutto questo sui social trova certo la più turpe delle valvole di sfogo, ma nasce altrove, proprio in quelle sedi ufficiali che dovrebbero lavorare e operare per frenare questa deriva becera e che invece la generano e la legittimano.
A leggere il testo dell’interrogatorio cui l’avvocato della difesa ha sottoposto le due ragazze c’è letteralmente da rabbrividire.
“Lei trova affascinanti, sexy, gli uomini che indossano una divisa?”
“Lei indossava solo i pantaloni? Aveva la biancheria intima quella sera?”
“In casa avevate bevande alcoliche?”
“Possiamo sapere l’esito della sua visita ginecologica sulle malattie virali?”
“E’ la prima volta che viene violentata in vita sua?”
“Ha mai visitato un negozio di divise?”
“Cosa diceva la sua amica quando urlava? Erano urla di parole o semplicemente urla di dolore?”
Sembra il verbale di un processo per stregoneria, ma si tratta di alcune (solo alcune) delle domande rivolte a due ragazze che hanno denunciato una violenza sessuale subita, in Italia, nel 2017.
Si può compiere uno stupro anche con le parole.
Che è esattamente quello che è successo in quell’assurdo e terribile interrogatorio.
E le vittime, come al solito, sono vittime due volte.

#resistenzeRiccardoLestini

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