Cesare Battisti, gli anni di piombo e quella verità che nessuno vuole

La gaffe del senatore leghista Pepe, che scambia Cesare Battisti per Adriano Sofri, è molto più che imbarazzante. Uno di quegli scivoloni che un senatore della Repubblica, in un intervento ufficiale, no, non può proprio permettersi.
Tuttavia, per quanto grottesco, il lapsus di Pepe qualche ragion d’essere ce l’ha eccome. Nel senso che Sofri e Battisti, per quanto personaggi tra loro diversissimi, con alle spalle (e sulle spalle) vicende e storie lontanissime, difficilmente riducibili a contesti e ragionamenti comuni, nella storia giudiziaria più recente del nostro paese hanno finito stranamente – e fatalmente – per sovrapporsi.
Nel senso che tanto Battisti quanto Sofri hanno finito, loro malgrado, per essere eletti a simbolo di una storia – quella degli anni di piombo, ma più in generale quella della diffusa contestazione degli anni ’70 sulla sponda della sinistra extraparlamentare – mai conclusa, né dal punto di vista giudiziario, né da quello investigativo, né da quello, diciamo così, “morale”, né, soprattutto, da quello storico.
Simbolo non in quanto “icone”, ma semplicemente come espedienti giudiziari per chiudere i conti, davanti all’opinione pubblica, con quel passato ancora tragicamente “aperto”. Perché proprio i casi Sofri e Battisti, così diversi ma allo stesso modo così tanto pubblicizzati e sbandierati, se letti e osservati veramente, ci svelano come in realtà nessuno, sugli anni di piombo, voglia arrivare alla verità né, tanto meno, abbia alcuna intenzione di affrontarli e “chiuderli” veramente.
Affrontarli veramente, guardare veramente in faccia questo nostro scomodo passato, vorrebbe dire anzitutto ammettere che in Italia, per circa un decennio, c’è stata una sorta di guerra civile spuntata fuori non dal nulla, ma da precise ragioni sociali, in primis come tragica conseguenza della sconsiderata strategia della tensione, appoggiata e benedetta da gran parte della politica italiana. In secondo luogo vorrebbe dire ammettere una volta per tutte che la vittoria dello Stato su quel terrorismo è stata possibile soltanto grazie all’uso (e all’abuso) della delazione, delle leggi sui pentiti e sui conseguenti sconti di pena. E che gran parte dei buchi e delle storie chiuse in fretta e furia relative a quegli anni, nascono proprio da questa strategia giudiziaria che, non da ultimo, ha spesso e volentieri abbandonato e umiliato ulteriormente i parenti delle vittime.
Sofri e Battisti hanno rappresentato – e continuano a rappresentare – l’illusione mediatica di giustizia verso il sangue versato durante gli anni di piombo.
Dietro gli sbandieramenti, i proclami, le discussioni accalorate da talk show, di giustizia nemmeno l’ombra. E di verità, meno che meno.
Due storie per nulla esemplari, non limpide e che non spiegano né dicono nulla.
Forse Sofri è veramente colpevole in quanto mandante dell’omicidio Calabresi, ma resta il fatto che sia stato condannato sulla base delle dichiarazioni di un pentito che, nella miglior tradizione del classico papocchio all’italiana, sono state ritenute inattendibili dallo stesso tribunale che ha emesso la condanna. E Battisti è sicuramente colpevole di quattro omicidi e di un numero imprecisato di rapine, ma il suo ruolo nella storia (quella con la “esse” maiuscola) del terrorismo italiano degli anni di piombo è pressoché irrilevante, per nulla simbolico, di certo infinitamente minore di quanto la stampa, la politica e l’idiozia di una certa sinistra intellettuale e ultra salottiera che per anni lo ha coccolato in nome di chissà quale libertarismo ideologico, hanno voluto e vogliono farci credere.
Il primo, Sofri, dirigente di Lotta Continua. Il secondo, Battisti, militante dei PAC. Un caso che nessuno di questi simboli costruiti ad hoc appartenga ai principali gruppi terroristici, ai veri protagonisti degli anni di piombo (Brigate Rosse, Prima Linea… ), che di tutti i pezzi mancanti di questa storia su cui nessuno vuole dire la verità ne sono stati attori e complici?
Quando i singoli vengono eletti, nel bene e nel male, a simbolo di una storia collettiva, non è mai un buon segno.
Davvero beato il popolo che non ha bisogno di eroi.

#resistenzeRiccardoLestini

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