Tutto sbagliato, tutto da rifare

La situazione è grave, probabilmente molto più grave di quanto pensiamo e immaginiamo.
Lo stallo e l’impossibilità di trovare sbocchi su cui la barca dello Stato, già paurosamente traballante, si è andata definitivamente a incagliare da due mesi, disegna uno scenario complessivo non solo incerto, ma decisamente cupo e inquietante.

Ero fermamente convinto, fino a qualche giorno fa, che il Partito Democratico si trovasse nella complicata situazione per cui, qualunque strada avesse deciso di intraprendere (opposizione o appoggio a un esecutivo Cinquestelle), avrebbe finito per indebolirsi ulteriormente. E che l’unico modo per salvarsi, indipendentemente dalla scelta, fosse quello di ragionare in prospettiva, su tempi lunghi o lunghissimi, ricostruirsi partendo da un’analisi seria (e spietata e frontale) delle ragioni del tracollo.
Quanto scaturito dalle dichiarazioni di Renzi di domenica sera, è molto peggio di qualsiasi scenario immaginato.
Non è, la mia, una critica a Renzi, quanto la constatazione che se l’azione di un partito, quale essa sia, possa essere ribaltata e annientata di colpo dalle parole di chi la guida di questo partito non ce l’ha più da due mesi, parole tra l’altro pronunciate in televisione, al di fuori di qualsiasi canale ufficiale o istituzionale, significa che il partito non è in crisi, ma non esiste più. La certificazione dell’inutilità dell’attuale segretario, di una direzione che chiaramente non conta nulla, di apparati privi dei più minimi poteri, di una linea comune inesistente.
Molto oltre lo sbando, molto oltre la fine, molto oltre il punto di non ritorno.

La ferma e rabbiosa reazione di Di Maio, anch’essa affidata ai social e quindi fuori da ogni canale istituzionale (ma cosa sono, oggi, le istituzioni? forse sarebbe il caso di cominciare a chiederselo seriamente), certo dovuta e certo di grande impatto comunicativo, è comunque un ulteriore segnale dell’aggravarsi precipitoso della crisi, di come anche il Movimento non goda in queste ore di ottima salute.
È l’attestazione del fallimento di una strategia pazientemente perseguita per sessanta giorni, il tramonto delle speranze di governo, l’esaurirsi di una grande spinta propulsiva andata a sbattere nel muro della real politik.
Di colpo, dopo due mesi passati a dare le carte, il Movimento si ritrova con il cerino in mano, impantanato nel più complicato degli immobilismi. Con le elezioni anticipate come unica via d’uscita. Ma il ritorno al voto, per quanto sia ipotesi sempre più concreta, non sarà né potrà essere immediata. E più si allungano i tempi, più i Cinquestelle rischiano un logoramento pericoloso. Con quel 32% che rischia di trasformarsi nella più beffarda delle vittorie di Pirro.

Così il centrodestra, e in particolare Salvini, rafforzati dai risultati bulgari del Friuli, tornano di colpo in pole position.
Ma per fare cosa? Un governo di minoranza? Prendere la guida di un esecutivo di scopo e transitorio?
Di certo il leader della Lega è l’unico a uscire rafforzato da questo ingorgo grottesco. L’unico a poter far valere un potere effettivo e in continua ed evidente crescita. E l’idea è esattamente contraria a quanto detto per i Cinquestelle: più si allunga il marasma, più Salvini aumenterà i consensi in suo favore, visto che di questa classe politica abilissima a fare propaganda e incapace a governare, Salvini è il principe indiscusso.
Un principe tragico e sinistro. Che un possibile premier in pectore del futuro governo, leader indiscusso della coalizione padrona indiscussa del nord Italia e con il massimo numero di consensi a livello nazionale , giochi a irridere gli avversari postando due di picche come il più goliardico degli smanettatori da social, è un segnale terribile.
Non solo. Nel caso in cui si fosse fatto l’accordo PD-Cinquestelle, è bene ricordarlo, esso sarebbe stato completamente rispondente alle regole di una democrazia rappresentativa a sistema proporzionale. Si sarebbe potuto contestare nella logica, nella coerenza, nella distanza dei programmi, ma non si sarebbe potuto metterne in dubbio la legittimità democratica e costituzionale.
Minacciare, per impedirlo, una “passeggiatina a Roma” (tra l’altro alla vigilia del 25 aprile), è qualcosa di molto grave. È la sconfessione delle regole della democrazia rappresentativa, della costituzione, del principio di legalità e della stessa essenza dello Stato.

Soffiano venti e non sono venti gentili. Come tutte le tempeste passerà anche questa lasciando qualcosa.
Ma non credo proprio sarà qualcosa di buono.

#specialeElezioni2018
#resistenzeRiccardoLestini

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