Lavandare

Oggi vi offro il caffè più semplice e buono del mondo.
Il più piccolo e consueto, che più di ogni altro sa scaldare il cuore.
Quel caffè di moka che profuma di amore e malinconia, di nonne e appartamenti, di cucine traboccanti di suppellettili, dai bianchi lavandini marmati e dalla luce che filtra gentile nelle stanche domeniche di primavera. Quel caffè preparato in pochi gesti ripetuti a memoria con maestria di artigiano, il filtro sottratto all’acqua con un colpo di magia, la polvere che cade come scia di cometa e la macchina, bruciacchiata alla base e col becco malfermo, stretta con decisione e gentilezza.
Quel caffè annunciato da un “vuoi un caffè” che dio solo sa quante cose ci stanno dentro e quante cose significa. Quel caffè che è attesa e chiacchiericcio, vociare di bambini e confidenze, risate e partite, vecchi amici che tornano e un senso di famiglia e convivialità che finalmente riesci a cogliere. Con quell’odore penetrante e avvolgente che ti arriva addosso molto prima della tazzina, che scioglie gli inverni e fortifica le estati, che ti fa sentire insieme in una straziante intima superficialità che non riesci a spiegare.
Quel caffè che quando arriva è già una storia d’amore.
Il caffè più adatto per leggere, ascoltare e sentire sotto pelle, sorseggiandolo, la poesia “Lavandare” di Giovanni Pascoli. Dieci versi che di quel caffè hanno gli stessi soffi, gli stessi sospiri. Muovono gli stessi scampoli d’animo e come una pioggia inondano il cuore degli stessi tremori e delle identiche malinconie.
Una poesia che ci racconta di terra e di campi, di un aratro sfinito e solo lasciato in mezzo a una nebbia che serra il respiro come un progetto mai avverato. Una passeggiata tra i nostri addii e i nostri rimpianti dove, proprio come quell’odore forte e leggero di caffè, un canto straziante e improvviso che conosciamo a memoria perché ha le note più profonde dei nostri battiti, arriva a scuoterci.
Ed è il canto delle lavandare.
Un blues più che una poesia, un blues meraviglioso e graffiato, che non urla ma penetra, non piange ma vibra, che nel ritmo ossessivo e dolcissimo dello sciabordare ci butta addosso i colori degli abbandoni, degli amori perduti.
I colori di quella maggese che, da qualche parte e in qualche modo, ci ha generati tutti quanti.

Buona domenica, buon caffè e buona lettura.

Lavandare

Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
resta un aratro senza buoi, che pare
dimenticato, tra il vapor leggero.

E cadenzato dalla gora viene
lo sciabordare delle lavandare
con tonfi spessi e lunghe cantilene.

Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese!
quando partisti, come son rimasta!
come l’aratro in mezzo alla maggese.

#unCaffèConPessoa
#storieRiccardoLestini

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