Molly Bloom

Oggi vi offro un caffè nero bollente, lungo e leggero.
Quel caffè che noi, rivendicando la suprema arte di questo miracolo d’acqua e polvere, con distacco chiamiamo “americano”. E che nella nostra sanguigna latinità quasi sempre snobbiamo e rifiutiamo. Quel caffè che caffè forse non è ma è l’unico, davvero l’unico, per muoversi nelle mattine d’inverno dal cielo basso e piatto nelle grandi città del nord Europa. Quel caffè che sa di tazze enormi dal manico deciso, che si mescola e si confonde nel tappeto di colazioni apocalittiche. Quel caffè per affrontare notti insonni, che dura tempi infiniti cui non siamo avvezzi in un sorseggiare continuo e dilatato, quasi una sfida, quasi una scommessa contro una fine continuamente rimandata. Quel caffè che riempie thermos bianchi e blu e diventa compagno fedele e garbato tra i fiati della metropolitana di Berlino, nel vagare implacabile e necessario per le strade di Parigi, nel saliscendi degli autobus a due piani di Londra, nell’ossessivo e straniante biancore dei canali di Amsterdam, tra l’odore misto di birra e arcobaleno del centro di Dublino.
Dublino, appunto. Città paese graffiata e impossibile, cielo troppo vicino che quasi ti piega le spalle e odore di oceano che sferza i fianchi e scuote i capelli. Dublino verdirlanda e grigiometropoli, i violini impazziti dei pub dolorosi e folli di Temple Bar e le lentiggini di ragazze con schiene gigantesche come pianure. Quello è l’unico caffè che può prenderti per mano e portarti qui, nel segreto indicibile di una Guinnes a forma di quadrifoglio.
L’unico caffè che può accompagnare la lettura dell’“Ulisse” di Joyce, che di Dublino è la bibbia e la bestemmia, l’assoluto atto d’amore e il supremo tradimento. Un romanzo che non è un romanzo, proprio come quel caffè che non è un caffè, un libro impossibile, sconsiderato, un deliberato attacco alla logica, un affronto al buonsenso, uno schiaffo feroce a chiunque venga in mente di leggerlo. Un assoluto disumano che quasi sfugge, ma di certo travolge, un capolavoro talmente immenso che annichilisce e fa tremare.
Novecento pagine per diciotto ore, un’Odissea vorticosa e priva di soluzioni, un vagare epico e ridicolo, truce e altissimo, alla ricerca di sé stessi, che non porta da nessuna parte se non a Lei, alla Donna, al supremo mistero uterino che non sapremo mai spiegare né cogliere, alla Madre che ci generò, all’Amante che bramiamo nel sudore del buio, alla Figlia che ci illudiamo di crescere, alla Moglie che crediamo ci aspetti inquieta e adorante. A Lei, Molly Bloom, che questo romanzo-vertigine lo chiude con un monologo sterminato che è tutto e niente, condanna e redenzione, peccato e purezza. Un flusso di coscienza steso per novanta pagine senza punti né virgole, dove la Donna è stesa sul letto e si masturba in un dormiveglia pastoso e vago, e perduta e smarrita e presentissima ricorda e sogna, ci ama e ci respinge, ci aspetta e ci tradisce.
Di quelle novanta pagina qui c’è la parte finale. C’è Gibilterra, il mare, il fuoco, le ragazze andaluse, la prima volta, il senso di sacro di una ragazza che diventa donna nello spazio di un sospiro.
Buona domenica e buon caffè…

MOLLY BLOOM, il monologo (parte finale)

e la notte che perdemmo il battello ad Algesiras il sereno che faceva il suo giro con la sua lampada e Oh quel pauroso torrente laggiù in fondo Oh e il mare il mare qualche volta cremisi come il fuoco e gli splendidi tramonti e i fichi nei giardini dell’Alameda sì e tutte quelle stradine curiose e le case rosa e azzurre e gialle e i roseti e i gelsomini e i gerani e i cactus e Gibilterra da ragazza dov’ero un Fior di montagna sì quando mi misi la rosa nei capelli come facevano le ragazze andaluse o ne porterò una rossa sì e come mi baciò sotto il muro moresco e io pensavo be’ lui ne vale un altro e poi gli chiesi con gli occhi di chiedere ancora sì e allora mi chiese se io volevo sì dire di sì mio fior di montagna e per prima cosa gli misi le braccia intorno sì e me lo tirai addosso in modo che mi potesse sentire il petto tutto profumato sì e il suo cuore batteva come impazzito e sì dissi sì voglio Sì

#unCaffèConPessoa
#storieRiccardoLestini

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