Desidero partire
Stamattina vi offro un caffè di passaggio. Uno di quelli presi nelle linee di confine, nei luoghi di nessuno, negli alberghi, negli autogrill, nelle stazioni, nelle case di qualcuno che non conosci e dove hai trovato rifugio in una notte di solitudine.
Uno di quei caffè che mescola odori e sapori inconsueti e che non sai, quei caffè del risveglio quando sei smarrito e straniero e solo quella miscela nera bollente ti ricorda chi sei e dove sei e, soprattutto, dove andrai. Quei caffè che sono tappe di viaggio, domande senza risposta, che nel bruciarti i polmoni hanno il rumore dondolante dei treni, gli odori gonfi degli autobus, il vento pungente delle navi, la violenza del sole nelle stazioni di servizio.
Quei caffè che sono collezioni d’attimi e, che in bagliori improvvisi, ti rivelano qual è il tuo vero nome del buio. Che ti fanno capire il senso profondo del viaggio, quell’inquietudine che ti ha spinto a partire nonostante terrore e gambe tremanti, quella smania frenetica che ti ha spinto verso l’unico modo che l’uomo ha per sentirsi vivo.
L’unico caffè possibile per accompagnare la lettura di questo straordinario stralcio de “Il libro dell’inquietudine” di Pessoa dove si parla di fuga e di vita, di partenza e rinascita, di ignoto e scoperto.
L’unico caffè possibile e un libro da mettere per forza nello zaino.
Buon viaggio.
Buona lettura.
DESIDERO PARTIRE
Il mio desiderio è fuggire. Fuggire da ciò che conosco, fuggire da ciò che è mio, fuggire da ciò che amo. Desidero partire: non verso le Indie impossibili o verso le grandi isole a Sud di tutto, ma verso un luogo qualsiasi, villaggio o eremo, che possegga la virtù di non essere questo luogo. Non voglio più vedere questi volti, queste abitudini e questi giorni. Voglio riposarmi, da estraneo, dalla mia organica simulazione. Voglio sentire il sonno che arriva come vita e non come riposo. Una capanna in riva al mare, perfino una grotta sul fianco rugoso di una montagna, mi può dare questo. Purtroppo soltanto la mia volontà non me lo può dare.
Quello che ci circonda diventa parte di noi stessi, si infiltra in noi nella sensazione della carne e della vita e, quale bava del grande Ragno, ci unisce in modo sottile a ciò che è prossimo, imprigionandoci in un letto lieve di morte lenta dove dondoliamo al vento. Tutto è noi e noi siamo tutto; ma a che serve questo, se tutto è niente? Un raggio di sole, una nuvola il cui passaggio è rivelato da un’improvvisa ombra, una brezza che si leva, il silenzio che segue quando essa cessa, qualche volto, qualche voce, il riso casuale fra le voci che parlano: e poi la notte nella quale emergono senza senso i geroglifici infranti delle stelle.