Quando la scuola non è per tutti

Forse un giorno governi, ministeri e istituzioni la smetteranno di prendere a calci quei principi costituzionali che dovrebbero incarnare e rappresentare.
La smetteranno di prendersi e soprattutto prenderci in giro.
La smetteranno di lavarsi la coscienza mandando periodicamente nelle scuole copie della Costituzione sbiadite e stampate alla bell’e meglio invitando noi docenti a leggerla e spiegarla in classe e penseranno, soprattutto e prima di tutto, ad applicarla, a costruire un sistema scolastico in cui quegli articoli siano realmente base e fondamento di tutto.
La smetteranno di inondarci di proclami, annunci, circolari, documenti, aggiornamenti pieni zeppi di parole come “parità”, “uguaglianza”, “inclusione” (ecco, soprattutto “inclusione”). Parole splendide e altissime, ma completamente vuote e inutili, perché completamente disattese dai fatti, usate come puro fumo negli occhi e poco più. Quel giorno la smetteranno perché ai proclami preferiranno lavorare, coinvolgendo in primis noi insegnanti, a creare i presupposti per realizzarla davvero, la scuola della parità, dell’uguaglianza e dell’inclusione.
Ecco, quel giorno forse la scuola sarà davvero un posto migliore dove vivere, crescere e lavorare.
Per ora, in attesa di quel giorno (che probabilmente non arriverà mai), l’abisso.

Il fatto che il liceo classico Visconti di Roma, il più antico della capitale e più volte ricordato negli annali come autentico fiore all’occhiello dell’istruzione italiana, abbia sbandierato come grandi punti di forza, di prestigio e di garanzia di un miglior apprendimento che “tutti, tranne un paio, gli studenti hanno nazionalità italiana” (attenzione alle parole, “nazionalità” e non “lingua”), che “la percentuale di alunni svantaggiati per condizione familiare è pari a zero” e che “nessuno è diversamente abile”, è assolutamente aberrante.
Forse molto più che aberrante. Sconcerta e sinceramente umilia la mia professionalità di docente che oggi, nel 2018, un istituto della scuola pubblica possa fare uno spot di sé stesso così sfacciatamente e vergognosamente elitario e classista.

Però attenzione. Non cadiamo nella trappola di vedere il liceo Visconti come il male unico e assoluto. Magari fosse così: sarebbe quasi rassicurante sapere che esistono “malattie isolate” in un sistema che in linea generale è sano e funziona.
Il problema è che a generare simili mostri c’è un sistema a monte.
I dati esibiti così orgogliosamente dal Visconti infatti, sono tratti dai risultati del questionario di valutazione, predisposto dal Ministero, che tutti gli istituti sono chiamati a compilare e i cui risultati sono poi visibili on line a chiunque (in particolare alle famiglie, al fine di agevolare la scelta della scuola per i propri figli).
Quindi, più che indignarci e chiederci perché il liceo romano (con tutto che diversi altri istituti si sono comportati in maniera analoga) sia arrivato a questo, chiediamoci perché sia in primis il Ministero a porre l’accento su questioni socio-economiche e a ritenerle parte integrante dell’offerta formativa predisponendo, nel questionario di cui sopra, domande come:
-qual è il contesto di provenienza socio-economico degli studenti?
-qual è la percentuale di studenti con cittadinanza non italiana?
-ci sono gruppi di studenti che presentano particolari caratteristiche dal punto di vista della provenienza socio-economica e culturale?

Il vergognoso spot del liceo Visconti nasce perciò da molto lontano.
Da un sistema che, nei fatti, è esattamente il contrario di quello che dice di essere.
Un sistema che dovrebbe incarnare quei principi costituzionali secondo cui “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana” (articolo 3), “la scuola è aperta a tutti” (articolo 34), “i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i più alti gradi degli studi” (di nuovo l’articolo 34), ma che nei fatti li calpesta predisponendo criteri di valutazione che ritengono lo svantaggio economico un ostacolo insormontabile all’apprendimento.
Un sistema che in virtù dei principi di cui sopra, e in virtù di ciò che afferma di continuo, dovrebbe assicurare il medesimo trattamento e le medesime opportunità non solo a tutti gli studenti, ma anche a tutti gli istituti, e che invece, nei fatti, crea palesemente studenti di serie a e di serie b, istituti di serie a e di serie b, basando il tutto non sul merito (come potrebbe anche essere normale), ma su una assurda discriminazione sociale a priori: lo studente ricco e la scuola del centro sono di serie a a prescindere, lo studente povero e la scuola di periferia sono a prescindere di serie b (ma gli anni ’50 non erano finiti da un pezzo?).
Un sistema che si vanta di promuovere sempre e comunque “l’inclusione” (colleghi, provate a contare quante volte, ogni giorno, al lavoro, sentite questa parola: verranno fuori cifre vertiginose), ma che nei fatti non include un bel niente, ma al contrario, esclude e separa.
Un sistema che anziché voler essere competitivo favorisce la competizione più sfrenata, becera e selvaggia: tra docenti, tra istituti e tra studenti.
Un sistema che finisce per insegnare ai ragazzi come la diversità (di qualunque genere, ordine e grado) sia un problema e un ostacolo.
Un sistema che spinge subdolamente (e sfido chiunque, su questo, a smentirmi) tutti gli studenti con qualsiasi difficoltà (sia essa sociale, cognitiva, motoria) a iscriversi nelle scuole professionali indipendentemente dalle loro capacità e competenze, mortificando e distruggendo tanto gli studenti quanto l’istruzione professionale in quanto tale.

Almeno si sia onesti e lo si dica.
Si dica una volta per tutte che della scuola dell’inclusione, della scuola per tutti, della scuola dove tutti hanno le stesse opportunità e dove la diversità è vissuta come una ricchezza, non importa niente a nessuno.
Si dica una volta per tutte che si insegue il “sogno americano” delle eccellenze per pochi e delle fatiscenze per molti.
Si dica una volta per tutte che la scuola pubblica, intensa nel suo significato più alto e compiuto, la si vuole distruggere.
Si certifichi questo mondo orrendo che si vuole creare a tutti i costi. Quanto meno come atto di onestà nei confronti di decine e decine di migliaia di docenti che, in silenzio, tra mille difficoltà, senza mezzi e spesso nelle peggiori condizioni possibili, a una scuola dell’inclusione e della diversità come risorsa, ci credono ancora e lottano per realizzarla.

#resistenzeRiccardoLestini

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