Le parole che non ti ho detto/ F come… (prima parte)

F come…

FACETO, parola non tanto sconosciuta, che più o meno tutti conoscono ma pochi, pochissimi usano, tranne in quel detto trito e ritrito e, soprattutto, odioso, odioso perché come tutti i detti nove volte su dieci usato a sproposito, come alibi quando non si sa più che cosa dire. Ad ogni modo, parola splendida piuttosto e anzicheno, dal peso specifico quasi inesistente, eterea, capace di richiamare le sonorità di certe commedie brillanti della Francia settecentesca, di arie rossiniane o di qualche travolgente overture mozartiana. Faceto, nello specifico non poco serio, ma divertente in maniera arguta, intelligente. Quando si ride con leggerezza e, al tempo stesso, con la medesima leggerezza si riflette. Faceto, ovvero quando la risata è elegiaca e la gaiezza una poesia che si scioglie in gola. Faceto, un balzo con calzari alati sopra la pesantezza di ogni nostro fottuto quotidiano.

FACONDO, ovvero, esattamente e letteralmente, chi può vantare un parlare – ma anche uno scrittore – al tempo stesso sciolto, elegante e convincente. Quando uno stile, nel parlare e nello scrivere, è quindi traboccante musicalità e parole e non si riduce al solo stile e al solo formalismo ma, contemporaneamente, vi trascina e vi risucchia sbattendovi tra le frasi dolcemente come una barca in un giorno di piccole onde, quello stile non è semplicemente ricco, abbondante, bello. È facondo. Facondo, faconda e facondia, parole cadute in disuso e, aggiungo, non a caso. Il bel parlare e il bello scrivere son passati di moda. Non solo, sono pure pericolosi. Chi raramente usa ancora oggi “facondo” lo fa in termini dispregiativi, intendendolo quasi come sinonimo di presuntuoso. Perché chi sa parlare va messo in cattiva luce.
Facondo: usarla, e usarla in termini corretti, è un vero atto di resistenza.

FALCIDIA, ovvero, letteralmente, quando strappando si riduce. Si riduce di brutto. Si usava nel diritto romano, per indicare la parte minima, e più piccola, delle eredità. In estrema sintesi, un taglio che ci fa perdere il meglio di qualcosa. Ricordiamocela, ricordiamocela assolutamente questa parola, perché ogni giorno, negandoci la bellezza, negandoci le parole più belle della nostra lingua, ci falcidiano.

FAMIGLIO, questa parola ha dentro una splendida storia. Nel medioevo tutte le persone adottate dal feudatario e che, nel feudo, abitavano all’interno della sua corte privata, erano detti “famigli”, per distinguerli dai “familiari” veri e propri. Diventare famiglio di qualche potente feudatario comportava ovviamente un notevole salto sociale. Manco a dirlo, molti famigli erano malvisti dal popolo, additati come tirapiedi del potente di turno, che gli stavano incollati e lo servivano in ogni modo per ottenere favori e denari. Così, per una di quelle splendide analogie che solo il medioevo ha saputo regalarci, nel folclore popolare – dove si divertivano a trasformare in fiabe spesso terrificanti la satira sociale – il famiglio era il laido e untuoso servitore delle streghe e dei diavoli. Si diceva, infine, che i famigli si manifestassero sulla terra in forma animalesca: proprio con la storia dei famigli nacque la superstizione sui gatti neri, che si pensava fossero la più frequente incarnazione del famiglio. Ma anche corvi, gufi e rospi, che infatti nel medioevo venivano bruciati spesso e volentieri in quanto ritenuti demoniaci. Potevano assumere anche forma umana, prendendo possesso di un corpo innocente che fungeva, per un tempo imprecisato, da loro ospite.
Chiudiamo con una curiosità: questa storia è talmente ignorata e sconosciuta che spesso, in molti film e romanzi horror inglesi o americani, la parola famiglio viene erroneamente tradotta in italiano con familiare. L’effetto, ovviamente, è che il vero senso della frase se ne va a farsi benedire e, nella traduzione, risulta incomprensibile.
Caso più celebre, il “Twin Peaks” di Lynch: l’uomo senza un braccio dice che il demone BOB era “uno della famiglia”. No, nell’originale dice che era “un famiglio”, ovvero un demone che viveva dentro corpi innocenti possedendoli.
Una storia davvero splendida, quella di questa parola.
Un peccato disumano perderla…

(continua… )

#leParoleCheNonTiHoDetto

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