E sempre l’ignoranza fa paura

Nel finale del film “The Dreamers” di Bernardo Bertolucci, mentre i tre protagonisti stanno vivendo la loro personalissima e privatissima educazione e formazione sessuale ed esistenziale nel chiuso di un appartamento, una pietra lanciata da fuori rompe i vetri della finestra e finisce nel mezzo della stanza.
“Che succede?”, chiede uno dei ragazzi svegliato dal rumore di cocci rotti.
“La strada è entrata in casa”, risponde la ragazza, che già si sta vestendo per raggiungere in tutta fretta il corteo (siamo nel fatidico maggio ’68) che sta passando sotto l’appartamento e dove, proprio in quel momento, stanno avvenendo scontri con le forze dell’ordine.
La strada che entra in casa. Una delle frasi che meglio è riuscita a sintetizzare lo spirito di quegli anni, dove il pubblico irrompeva continuamente nel privato annullandone i confini. Dove l’impegno era un obbligo, dove l’esperienza collettiva e condivisa era un passaggio imprescindibile. E dove la strada – sintesi e laboratorio sociale e politico – non entrava solo in casa, ma letteralmente dappertutto.
Anche allo stadio. Anche le curve, dalla fine degli anni ’60 e in particolare nei turbolenti anni ’70, divennero luoghi “politici” e “politicizzati”. Molte tifoserie organizzate finirono così non solo per schierarsi apertamente, ma proprio per diventare luoghi chiave del conflitto – esasperato, continuo, folle – tra gli opposti estremisti tipico di quegli anni.
Curve di estrema destra e curve di estrema sinistra. Ognuna col proprio frasario e con le proprie simbologie. Ed entrambe accumunate da una logica della violenza e dell’apparteneza completamente cieca, che cercava nello schieramento politico la più stupida delle giustificazioni.
Poi le ideologie sono morte, spazzate via dalla storia e, ovviamente, sono sparite dagli stadi ponendo fine alla stagione delle tifoserie “politicizzate”. Non è morta – anzi, sta benissimo e, purtroppo, è quanto mai viva – la stupidità, la ribellione violenta fine a sé stessa, l’uso del pallone come puro pretesto per sfogare istinti brutali e frustrazioni d’ogni genere. E non sono morte nemmeno le etichette, nel senso che pur svuotate di qualunque connotato ideologico, ancora oggi molte curve continuano a essere identificate politicamente.
Nel caso della Lazio, la cui curva è storicamente, sin dai primi anni ’70, una roccaforte dell’estrema destra neofascista e neonazista, il discorso è un po’ diverso. Nel senso che non si tratta semplicemente di un’etichetta di comodo ereditata dal passato. Al contrario, pur completamente fuori dal contesto storico e sociale in cui nacque, la tifoseria laziale (almeno una buona parte di quella tifoseria organizzata che occupa stabilmente la curva Nord dello Stadio Olimpico di Roma) continua, oggi come ieri, a esibire e ostentare orgogliosamente il fascismo più estremo, nonché, soprattutto, a rendersi continuamente protagonista dei più assurdi, truci e vergognosi episodi di fascismo pallonaro.
L’episodio degli adesivi di Anna Frank con la maglia della Roma non è che l’ultimo di una lunga, lunghissima serie di violente beceraggini di cui questa tifoseria si è macchiata in tempi recentissimi.
Eppure, per quanto grave in sé, faremmo un grave torto a ridurlo al “semplice” fascismo. Così come sbaglieremmo di grosso a ridurlo alla sola curva laziale.
Stiamo parlando di un episodio particolarmente eclatante e clamoroso ma tutt’altro che isolato. Al contrario, un episodio all’interno di un fenomeno purtroppo quotidiano e purtroppo ben più ampio.
Non è solo la tifoseria della Lazio, in quanto fascista, a essere violenta, razzista, antisemita e quant’altro. Sono le tifoserie in quanto tali, tutte quante, a essere violente, brutali, vergognose, a essere sempre più contenitori di ogni genere di odio, di intolleranza, di sopraffazione. Il tutto, sempre più spesso, nel silenzio delle società di calcio, che fanno sempre meno per combattere o quanto meno circoscrivere il problema.
Un silenzio che somiglia molto alla complicità. Non dimentichiamoci che gli ultrà laziali erano stati già sospesi per cori razzisti, una decisione che aveva comportato la chiusura della curva Nord. Chi ha aperto la curva Sud per loro al prezzo simbolico di un euro, permettendogli di fatto di compiere lo sfregio degli adesivi di Anna Frank in maglia giallorossa, se non la stessa società della Lazio che aveva il compito di rispettare le disposizioni di interdizione?
Inutili i gesti simbolici del poi.
Inutile la visita di Lotito alla Sinagoga di Roma, se è sempre lo stesso Lotito a ignorare i provvedimenti punitivi sanciti dalla legge verso i suoi tifosi.
Inutile far leggere brani del diario di Anna Frank prima delle partite se poi le società continuano a comportarsi così.
Inutile parlare di fascismo, di nazismo, di olocausto e di treno della memoria quando i responsabili del gesto, prima ancora che al rispetto della Storia, devono essere educati alle più elementari regole di civiltà.
A me il fascismo fa paura.
Ma ancora di più fanno paura la stupidità e l’ignoranza.
Ovvero le madri e l’origine di tutti i fascismi.

#resistenzeRiccardoLestini

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