Apologia del fascismo

Può avere un che di surreale approvare, nel 2017, una legge sul reato di apologia del fascismo.
Prima di tutto per i settant’anni e passa di ritardo con cui arriva, visto che, da questo punto di vista, di passaggi storici nell’Italia repubblicana in cui una legge simile sarebbe stata non tanto auspicabile, quanto necessaria e indispensabile, ce ne sono stati diversi: l’immediato dopoguerra, la breve ma agghiacciante parentesi del governo Tambroni, le minacce reali di un colpo di Stato di estrema destra – piano “solo” e golpe Borghese – negli anni ’60 e ’70, la collusione – non vagheggiata da chissà quale complottismo visionario ma provata e attestata da verità processuali – tra gruppi neofascisti e apparati dello Stato nella strategia della tensione durante gli anni di piombo.
Un ritardo tale – e soprattutto un ritardo colpevole – da rendere anche normale chiedersi se ancora oggi, nel 2017, ci fosse davvero bisogno di un tale provvedimento.

Ma ben più surreale dei ritardi e dei legittimi dubbi, è stato (ed è), manco a dirlo, il dibattito che attorno a tutto questo è scaturito, il clima da arena e da scazzottata di quartiere, i commenti spesso davvero molto oltre l’assurdo che si leggono sia sui social sia in contesti più “alti” e ufficiali.
Tolte le beceraggini e gli strombazzamenti di slogan improponibili (del tipo “orgoglioso di andare in galera per il mio Duce” e via dicendo), sono proprio le considerazioni di natura, diciamo così, “storica” a essere disarmanti.
A partire – ancora! – con l’identificazione dell’antifascismo nel comunismo, nel definire “comunista” tutto ciò che si è opposto (e che si oppone) al fascismo e alla dittatura fascista. Come se don Luigi Sturzo, Benedetto Croce, Alcide De Gasperi, Piero Gobetti, Ugo La Malfa, Ferruccio Parri, Giuseppe Saragat e un elenco che potrebbe continuare all’infinito, fossero stati, anche solo lontanamente, comunisti. Una visione, oltre che estremamente riduttiva, storicamente inesistente.
Per proseguire con – di nuovo, ancora! – quella che definisco la “giustificazione a rimbalzo”. Ovvero il difendere la dittatura fascista – e i crimini da essa perpetrati – con la frase “il comunismo ha causato un numero maggiore di morti”. Questa non tanto una falsità storica, ma proprio un’aberrazione ideologica, come se la presenza di un crimine superiore e di più ampia portata potesse giustificare e rendere nullo il crimine numericamente più contenuto. Come se dittature, negazioni delle libertà fondamentali, torture, epurazioni e deportazioni non fossero crimini in sé, ma esclusivamente misurabili – e condannabili – su base numerica e statistica. Inoltre, un ragionamento che se ristretto dalla storia mondiale a quella italiana, perde anche ogni fondatezza storica, dal momento che in Italia non c’è mai stata una dittatura comunista e dal momento che il Partito Comunista Italiano, nella storia repubblicana, non ha mai avuto natura né eversiva né rivoluzionaria, muovendosi anzi sempre – pur restando sempre all’opposizione – nel solco delle regole democratiche e difendendole nei momenti di più alta crisi (l’ordine di far rientrare la minaccia di guerra civile nel ’48, la linea della fermezza adottata verso il terrorismo brigatista negli anni di piombo e via dicendo).

Si potrebbe continuare ancora molto a lungo con castronerie, infondatezze storiche e paragoni paradossali e impossibili. Talmente a lungo che più che chiedersi quale senso abbia nel 2017 aver bisogno di condannare il fascismo, chiediamoci come sia possibile, nel 2017, dover sentire ancora, da un numero esageratamente enorme di persone, simili assurdità.
Al punto che forse, più che di una legge che renda reato l’apologia del fascismo, avremmo bisogno di una legge che renda reato la negazione e la distruzione della Storia.
Proprio quella Storia d’Italia (quell’Italia che, come dicono in molti, deve venire “prima di tutto”) che ogni giorno non smettiamo di calpestare e uccidere.

#resistenzeRiccardoLestini