Una storia di merda

UNA STORIA DI MERDA

Una storia di merda vecchia di sei anni, per la precisione.

Anno 2010, notte tra il 12 e il 13 settembre, centro sociale RAF (ReteAntiFascista) di Parma, festa annuale in memoria della cacciata delle camicie nere da Parma del 1922.

Mentre la festa è in pieno corso, in una delle stanze della struttura, Alessia (nome di fantasia), all’epoca appena diciottenne, viene stuprata per tutta la notte da tre amici, forse di più, che dopo averla tramortita e stordita, probabilmente anche con degli stupefacenti, hanno filmato ogni singolo momento di quella terrificante violenza di gruppo. Un video spaventoso che poi gli autori dello stupro condividono con altri “compagni” e altre “compagne” del giro antagonista.

Una storia che sarebbe stata di merda in ogni caso, ma che è ancora più di merda di altre per ciò che è accaduto dopo, che ha reso possibile come i processi a carico dei responsabili iniziasserro solo in questi giorni, sei anni dopo.

Quando Alessia si è risvegliata, all’alba, non ha trovato nessuno. Solo una stanza vuota e i suoi vestiti sparsi a terra, da raccogliere assieme ai cocci di se stessa.

Non ha denunciato nessuno, Alessia, pur sapendo esattamente cosa le avevano fatto e chi era stato a farglielo. Per vergogna, per difendere i propri genitori. Una storia di silenzio purtroppo comune a tante, troppe donne ragazze vittime di violenza.

Il problema è, in una specie di dramma dell’assurdo, colpevole e imputata diventa proprio lei, Alessia, che nel momento in cui cerca di tornare alla vita di prima, come ricorda e testimonia chi finalmente dopo tanto tempo ha deciso di parlare e raccontare, viene esclusa, isolata e quindi cacciata dai “compagni” di quegli spazi autogestiti che fino ad allora erano stati il suo mondo quotidiano.

Cacciata e minacciata: “Non ti azzardare a fare l’infame con gli sbirri”. Una minaccia non degli stupratori, o almeno non solo. Ma una minaccia tragicamente collettiva, un pazzesco muro di omertà condiviso da parte di gran parte degli attivisti della ReteAntiFascista parmense.

Più importante, per i “compagni”, difendere il movimento da possibili incursioni delle forze dell’ordine piuttosto che denunciare uno stupro e stare accanto alla vittima.

Questo per tre anni, tre anni in cui quel maledetto video estremo ha continuato a circolare nell’ambiente.

Fino all’esplosione, nell’estate del 2013, di una bomba carta nella sede di Forza Nuova e a successive indagini che portano i carabinieri ad indagare l’ambiente del Raf e a interrogare alcuni frequentatori. Scattano alcune perquisizioni, sequestri di smartphone e, inevitabilmente, salta fuori il video.

Scatta la denuncia d’ufficio, Alessia si fa coraggio e riconosce e indica i suoi stupratori, che finiscono ai domiciliari.

Ma le indagini sono difficili, lente, complicate: nessuno, del giro del centro sociale, accetta di collaborare con “gli sbirri”. Nessuno ha in mente di aiutare Alessia.

Poi, se possibile, succede anche di peggio. Alessia viene nuovamente minacciata, i “compagni” – e anche molte “compagne” – la definiscono “infame”, “amica degli sbirri”. Cercano di convincerla ad alleggerire la posizione degli indagati.

Alessia, per fortuna, resiste. Finché, nel mondo antagonista parmense, dopo sei anni qualcuno, nello specifico un collettivo femminile, le “Romantic Punx”, finalmente parla. E racconta ogni cosa, dalla violenza alla condivisione del filmato, dall’isolamento di Alessia alle minacce nei suoi confronti, aprendo una crepa in un muro di omertà, coperture e silenzi fino a quel momento insormontabile.

Uno stupro è sempre un atto fascista, anche se chi lo commette si dichiara antifascista”, hanno scritto le Romantic Punx.

Chissà se è questione di ideologia. Di sicuro i “compagni” si scopriranno, se non l’hanno già fatto, molto simili, forse identici, a quei “maschilisti destrorsi” che tanto contestano, detestano e disprezzzano: anche loro, e i loro avvocati, nelle loro difese, suoneranno il solito secolare ritornello della “cultura dello stupro” dicendo che Alessia, se non ha denunciato per tre anni, a quel gioco probabilmente ci stava. Non importa se era inerte, immobile, come morta, ma probabilmente le piaceva.

Questo diranno.

E la cultura dello stupro non è né di destra né di sinistra.

È solo una gigantesca storia di merda.

#resistenzeRiccardoLestini

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *